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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 08:37.
Datemi un film e vi racconterò il mondo. Per Lietta (Giulietta) Tornabuoni, critica cinematografica per trent'anni alla Stampa di Torino, la visione di una pellicola è sempre stata una chiave privilegiata per capire la realtà. Perché Lietta, prima ancora che appassionata di cinema, era una giornalista curiosa. I cambiamenti del costume sono stati uno dei campi preferiti di un'attività cominciata giovanissima a Roma, nel 1949, dove era approdata al settimanale Noi donne, rivista storica dell'Udi, Unione donne italiane. Anni in cui andare al cinema era naturale come respirare.
Anni in cui Lietta matura quell'amore per il grande schermo che la portano a diventare, con le rubriche sulla Stampa e l'Espresso, una delle voci più seguite da chi ama andare al cinema "consigliato". Un mestiere strano, d'altri tempi, da svolgere con passione e umiltà, senza gli snobismi di tanti giovani "cinefili" divoratori più di pellicole che di realtà. Lietta non faceva parte di questa schiera onnivora. Lo testimoniano le sue ultime righe, scritte per Kill Me Please: un film che, sono le sue parole, «affronta l'argomento rimosso per eccellenza della nostra epoca, la morte».