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Federalismo alla romana

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2011 alle ore 06:38.

Affermano testualmente la legge-delega sul federalismo fiscale del 2009 e i successivi decreti che la riforma dovrà essere "a zero" per quanto riguarda la spesa complessiva e la pressione fiscale a carico dei cittadini e delle imprese.

È il principio dell'invarianza delle due variabili, ed è del tutto comprensibile: non possiamo permetterci né di allargare la spesa pubblica né di alzare la pressione fiscale, già a livelli record. In prospettiva il federalismo fiscale (la "madre di tutte le riforme", ha spiegato a ragione il ministro dell'Economia Giulio Tremonti) dovrà anzi permettere di razionalizzare e diminuire la spesa e abbassare la tassazione responsabilzzando per questa via gli amministratori locali e permettendo ai cittadini di verificare in piena trasparenza (e giudicare politicamente) il loro operato.

Se questa è la prospettiva, il presente suggerisce, dati alla mano, cosa può significare un buon federalismo (chiaro, lineare e con una sua base competitiva) e cosa può voler dire un cattivo federalismo (pasticciato, opaco, più assistenziale che autenticamente solidale).

Il caso di Roma ci dice cosa non si deve fare se non vogliamo arrivare al punto che i cittadini contribuenti risultino i più tartassati d'Italia. Secondo l'inchiesta del Sole 24 Ore curata da Gianni Trovati, la capitale batte Milano, nella partita dell'Irpef locale, 3 a 1, visto che nel 2011 debuttano le super addizionali decise dal comune e dalla regione. La "botta" è di quelle forti: chi risiede a Roma dedicherà da fine gennaio a comune e regione il 2,6% delle proprie entrate mentre un milanese, a seconda del reddito, oscillerà tra lo 0,9% e l'1,4 per cento. Tradotto in soldi, ciò significa che il romano con un reddito di 40mila euro pagherà quest'anno 1.040 euro di Irpef locale, 280 euro in più rispetto al 2010, mentre un milanese si ferma a 467 euro.

Tutto previsto, certo. Bisogna tappare i buchi di bilancio e tamponare il mega-debito accumulato negli anni. Dunque, più Irpef a Roma mentre Milano o Brescia non hanno mai attivato questo strumento. In attesa che venga sciolto il nodo cruciale (e politicamente sensibilissimo, data la posizione della Lega) del decreto sul fisco municipale, per il quale si punta ora a una compartecipazione Irpef da 4 miliardi con cui sostituire una quota di pari valore di gettito Imu sui trasferimenti immobiliari.

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Tags Correlati: Fisco | Giulio Tremonti | Lazio | Lombardia | Ministero per gli Affari Regionali | Raffaele Fitto |

 

Vedremo come finirà la partita nei prossimi giorni, ma questa sorta di "anticipo" del federalismo fiscale in salsa capitolina (inevitabile: più buchi uguale più tasse) mette in evidenza che, se non si vuole in qualche modo "tradire" spirito e norma della riforma federalista (alzando in definitiva la pressione fiscale sui cittadini) occorrerà prima di tutto razionalizzare, tagliare le spese (sanità, costi del personale e dell'organizzazione) e far leva sulle dismissioni del sempre portentoso capitalismo municipale. In modo da evitare di tassare di più magari a fronte di risultati più che deludenti dal lato dell'impiego delle risorse.

Non è un caso, per esempio, che riguardo l'utilizzo dei fondi europei il Lazio si collochi al penultimo posto nella classifica delle regioni italiane: alla fine dell'ottobre scorso erano stati spesi solo 47,5 milioni dei 743,5 stanziati per lo sviluppo regionale secondo il piano 2007-2013. Viceversa, unica in Italia, la Lombardia ha stabilito che entro il 2011 il pagamento dei fornitori di beni e servizi dovrà avvenire non oltre 60 giorni (la media nazionale è 300 giorni), in linea con quanto indicato in sede europea. Mentre con la sua legge finanziaria la Liguria ha optato per un fisco più leggero a sostegno dei consumi e delle famiglie.

La crisi morde per tutti e ha imposto tagli nei trasferimenti pubblici, ma la reazione può essere diversa da quella di ricorrere subito a un aumento delle tasse come unico tampone d'emergenza. Né, d'altra parte, si possono nascondere sotto il tappeto le resistenze, a tutt'oggi fortissime, che le stesse regioni mettono in campo. Tipo quelle evidenziate in un'intervista al Mattino dal ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto dopo la bocciatura dei nuovi criteri di riparto dei fondi per la sanità, criteri che affiancavano al parametro dell'anzianità della popolazione quello della povertà e del disagio sociale. Il criterio dell'anzianità data 1996 e da allora è alla base di polemiche continue tra il Nord e il Sud che, ha spiegato Fitto, «avendo una popolazione più giovane ma anche un maggior numero di poveri e disoccupati, si sentono penalizzate». Fatto sta che i nuovi criteri sono stati bocciati all'unanimità dalle regioni.

Oggetto politico di prima grandezza, complicato sul piano tecnico e assai difficile da spiegare alla stessa opinione pubblica, il federalismo è materia che scotta anche se i suoi frutti daranno risultati non tra un mese o due ma nel corso degli anni. Per questo deve partire col piede giusto. Senza troppi sconti, come quelli che si vorrebbero sul principio del "fallimento politico" sanzionato per gli amministratori con i conti in rosso. E con i premi per chi al contrario ha mantenuto i conti in ordine.

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