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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 20 gennaio 2011 alle ore 06:39.
È sconcertante la superficialità con cui gli eventi del Maghreb sono stati presentati e analizzati in Europa. Certo, si può parlare di un effetto-sorpresa - nessuno se l'aspettava - ma forse qualcosa di più perverso si nasconde sotto l'incredulità dello sguardo europeo sulle società arabe e musulmane, come se quelle società fossero definitivamente condannate all'assenza di democrazia e al fanatismo religioso.
Uno storico che si occupi di questi problemi può osservare come l'odierna percezione in Europa di quel mondo sia molto più arretrata di quanto non lo fosse nel tardo Medioevo: prevale nell'immaginario collettivo uno stereotipo, un'immagine riduttiva di quelle società, perché non le si conosce.
Ma il fatto anche più grave è la sempre più forte convergenza fra tre elementi. Primo, gli studiosi di quell'area sono raramente ascoltati o letti; secondo, la politica tende a camminare da sola, senza tener conto delle analisi degli esperti; terzo, la nuova cultura giornalistica si basa essenzialmente sul paradigma della notizia, riferendo eventi che cancellano quelli precedenti senza dare una reale rappresentazione di ciò che è in corso. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: non capiamo, e dunque non riusciamo a comunicare tra le due sponde del Mediterraneo.
Rari politici, tra cui i radicali, e la Chiesa che è operativa in quei paesi erano consci del rischio di una deflagrazione dal Maghreb al Mashrek, dato il fallimento quasi totale delle politiche euromediterranee dopo la Conferenza di Barcellona del 1995. Dell'euroregione mediterranea che avrebbe dovuto esistere dal 2010 non si parla più, non esiste più nel nostro vocabolario; e i programmi della Ue sulla società civile non hanno dato quasi nessun risultato. E qui il problema non è del mondo arabo, ma dell'Europa: perché non ha un'idea di se stessa, e perché non ha capito o non vuol capire che la globalizzazione ha effetti inediti sui futuri assetti geopolitici e geoeconomici del pianeta.
L'Europa sembra solo "contenere" delle situazioni, rifiutando di costruire nuovi assetti in grado di creare una reale cooperazione tra le due sponde. Il risultato è che continuiamo ad accumulare errori. Perché in realtà non si può parlare di un effetto-sorpresa. Chi studia quei paesi e quelle culture, soprattutto la loro storia del XX secolo, sa bene che hanno quasi tutte un tratto caratteristico: nel mondo arabo lo stato si è costruito in opposizione alla propria società, impedendo così l'emergere della questione democratica. Ma, come ho più volte affermato, la democrazia non è una riserva indiana per alcuni privilegiati; la democrazia è un'aspirazione universale, e ritenere che alcune società possano accedervi prima di altre è un errore. Certo, non può essere trasferita come si fa con un pacco postale, ma sono le società - ogni società - a dover trovare la forza per conquistarla e per costruirla.