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Commenti e Inchieste

Al Lingotto si arena il Pd

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2011 alle ore 11:33.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2011 alle ore 11:34.

C'è un filo che lega il Lingotto - atto secondo - di Veltroni al caso Ruby. Tra i molti aspetti sconcertanti connessi alle attuali vicende che coinvolgono il presidente del Consiglio quello politicamente più significativo è la tenuta del suo livello di consenso. In questi giorni si è detto di tutto e di più su Berlusconi eppure il suo partito continua a raccogliere una percentuale di intenzioni di voto che è in diminuzione rispetto al passato ma non tanto da far intravedere quella frana che molti si sarebbero aspettati.

Né la crisi economica né il caso Ruby sono stati sufficienti a minare in maniera significativa il sostegno al presidente del Consiglio e al suo partito. Forse le cose cambieranno se e quando Berlusconi fosse riconosciuto colpevole di specifici crimini e non solo di comportamenti libertini, ma per ora la sua tenuta è il fatto con cui bisogna fare i conti. Il Pdl di Berlusconi non è oggi nella situazione del Psi di Craxi o della Dc di Forlani.

La spiegazione più semplice ma non del tutto convincente è quella mediatica. Per molti leader e commentatori, soprattutto di sinistra, Berlusconi riesce a sopravvivere perché direttamente o indirettamente controlla una larga fetta del sistema radiotelevisivo del paese. Questo è certamente un fatto incontestabile che rappresenta la vera grave anomalia italiana. È un fatto che pesa ma non basta a spiegare il fenomeno che vogliamo spiegare. I dieci milioni e passa di elettori italiani che hanno ripetutamente votato Berlusconi e che dichiarano oggi di essere intenzionati a farlo di nuovo non sono tutti degli allocchi influenzati dai telegiornali di Fede e dai silenzi di Minzolini. Certo, ci sono anche quelli ma sono una minoranza.

La maggioranza invece è fatta di persone che ritengono Berlusconi ancora oggi il migliore interprete dei loro interessi e delle loro preoccupazioni. E per questo sono disposti a perdonargli i suoi vizi privati, magari turandosi il naso. Per qualcuno, anche all'estero, è una cosa difficile da capire. Ma è così.

E qui entrano in gioco l'opposizione e la sua debolezza. In una democrazia veramente competitiva l'opposizione avrebbe dovuto approfittare delle difficoltà economiche e di immagine in cui si trova il governo. Ma l'Italia non è una democrazia competitiva perché l'opposizione non è competitiva. Una opposizione competitiva avrebbero preparato per tempo una alternativa di governo capace di intercettare il voto di settori dell'elettorato berlusconiano che continuano sì a votarlo e a sostenerlo ma sempre più per mancanza di meglio e non per convinzione. Prodi ci ha provato ma ha fallito. È riuscito a mettere insieme una coalizione vincente (per poco e per caso) ma talmente eterogenea e litigiosa da essere ingovernabile.

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Tags Correlati: Berlusconi | Camera dei deputati | DC | Elezioni | Fiat | Pd | PDL | PSI | Veltroni

 

Dopo di lui ci ha provato Veltroni con una strategia completamente diversa ma anche lui ha fallito. Ed è questo il fallimento che oggi pesa di più. Se il Pd del primo Lingotto fosse decollato, oggi per Berlusconi le prospettive politiche sarebbero ben più nere. Ma così non è stato. Nonostante il suo ottimo esordio nelle politiche del 2008 con quel "miracoloso" 33,2% di voti alla Camera il vero Pd non è mai nato.

Il Pd di Bersani è solo un pallido riflesso di quello che avrebbe dovuto e potuto diventare il vero Pd. Quello di Veltroni voleva essere un partito estroverso. Questo Pd è il contrario, un partito introverso che ha rinunciato ad allargare la sua base elettorale e che cerca di aggrapparsi a vecchie certezze. Ora Veltroni ci riprova ma è troppo tardi. Non basta il Lingotto-due per resuscitare il progetto originale. Troppa acqua è passata sotto i ponti e troppe delusioni si sono accumulate. Del fallimento di quel progetto tutta l'attuale dirigenza del Pd porta la responsabilità, compreso lo stesso Veltroni che non ha saputo difenderlo. Le sue dimissioni nella primavera del 2009, date in quel momento e soprattutto in quel modo, ne hanno segnato la fine.

L'attuale Pd non solo ha perso sette punti percentuali in termini di voti rispetto a quello del 2008 ma soprattutto annaspa senza una linea politica capace di intercettare elettori diversi da quelli che rappresentano il suo nucleo duro fatto soprattutto di una fetta di operai della grande industria, tanti dipendenti pubblici e qualche settore del mondo giovanile. Con una simile base elettorale, senza una strategia credibile, senza un messaggio chiaro, senza un leader riconosciuto e senza una classe dirigente con una mentalità nuova il Pd non può rappresentare una minaccia per Berlusconi neanche con Ruby di mezzo.

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