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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2011 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 24 gennaio 2011 alle ore 08:59.
Ogni anno, da 40 anni, sulle nevi di Davos i 2.500 partecipanti al World economic forum partecipano al più grande brain storming elitario del pianeta alla ricerca delle soluzioni più geniali per rilanciare l'economia in affanno e aggiornare la governance del pianeta.
Capi di governo, professori di economia, imprenditori, manager e finanzieri da mercoledì 26 si daranno appuntamento alla 41esima edizione del Forum economico più affollato e affascinante al mondo per discutere come superare la grande paura scatenata dalla crisi finanziaria, da quella successiva dei debiti pubblici a rischio default evitando, ha detto Klaus Schwab, fondatore del Wef, che «esploda in crisi sociali» come in Grecia.
Si parlerà dell'allarme lanciato dalla Fao sull'incremento record dei prezzi alimentari, dell'aumento demografico, della nuova architettura finanziaria, della massa di soldi che da Stati Uniti ed eurozona vanno in cerca di tassi di rendimento più appetibili nei mercati emergenti provocando però aumento delle valute locali, calo dell'export e incremento del deficit delle partite correnti. Squilibri gravi da eliminare in fretta. In una partita che non si giocherà più solo tra le grandi tradizionali economie occidentali. La delicatezza del post-crisi farà sì che altri player, in rappresentanza dei nuovi Brics, entreranno in gioco.
A partire da Susilo Bambang Yudhoyono, presidente dell'Indonesia, considerato l'outsider di Davos 2011, il rappresentante del paese musulmano più grande al mondo e della sua ruggente economia, accanto a Felipe Calderón, capo di stato del Messico. Nuove nazioni bussano alla porta del Wef grazie a demografia, capitalizzazione di mercato, dinamismo economico, allungando così la lista dei Brics. Messico, Corea del Sud, Turchia, Sudafrica e la stessa Indonesia pesano sempre più nel Pil globale. I vecchi Brics non bastano più. Le nevi di Davos consacrano il ruolo dei neo-Brics.