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Commenti e Inchieste

La libertà sulla rete e i suoi angeli custodi

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 06:38.


WikiLeaks è una risorsa o un pericolo per i sistemi democratici? Se la democrazia, come ha scritto Bobbio, è «il potere del pubblico in pubblico»; se dunque ogni democrazia ambisce a diventare una casa di vetro; allora WikiLeaks è un gendarme della democrazia, perché il suo scopo dichiarato è di rendere trasparenti le azioni dei governi. Insomma in nessun paese democratico dovrebbe esserci spazio per segreti, menzogne, dissimulazioni.
Ma è davvero così? Davvero si può dire che la verità costituisca la virtù precipua delle democrazie, dopo le bugie di Bush e Blair a proposito degli arsenali di Saddam, dopo le fandonie di Aznar all'indomani delle bombe dell'11 marzo 2004, dopo le false promesse di cui facciamo incetta alla vigilia di ogni elezione? Sennonché in questi termini la questione è mal posta, è fuori squadro. Una democrazia può dirsi tale non perché esprime governi animati da un sentimento democratico, bensì perché edifica istituzioni democratiche. E le istituzioni sono tali quando permettono ai governati d'azionare la responsabilità dei governanti. Ne deriva che la qualità della democrazia si misura attraverso l'intensità della tutela che essa sa offrire ai governati contro i loro stessi governanti. Il caso WikiLeaks è tutto qui, in una domanda di tutela che interroga i principi costituzionali, in Italia e in America.
Questa domanda è stata soddisfatta? Su Lavoce.info Riccardo Puglisi traccia un paragone fra il Cablegate del 2010 e i Pentagon Papers del 1971, quando il New York Times pubblicò un rapporto top secret sulla guerra in Vietnam, commissionato dal ministro della Difesa McNamara. Allora come oggi, il governo americano reagì chiedendo un bavaglio giudiziario per la pubblicazione, e un castigo giudiziario per i responsabili. Ma in quel caso la vicenda restò circoscritta in una dimensione nazionale, invece WikiLeaks nuota in acque internazionali, le sue rivelazioni hanno fatto tremare tutti i governi del pianeta. La differenza è dunque che negli anni Settanta la Corte suprema Usa garantì la libertà d'informazione del New York Times, negli anni Dieci non esiste una Corte mondiale cui possa appellarsi WikiLeaks.

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Tags Correlati: Conseil Constitutionnel | Corte Suprema | Internet | Italia | Sabino Cassese | Stefano Rodotà

 

È l'effetto della globalizzazione: siamo diventati più poveri, non più ricchi di diritti. Ma questa povertà deriva da un eccesso di ricchezza, da un'inflazione di carte e di Corti dei diritti. Sabino Cassese ha fatto un po' di conti: nel mondo operano circa duemila organismi internazionali, un centinaio di tribunali, altrettanti organi giurisdizionali. I quali a loro volta sgomitano in uno spazio popolato da duecento stati e 44mila organizzazioni non governative. Sicché alla fine ciascuno fa come gli pare, o meglio come gli conviene.
Se allora il vecchio stato rimane la migliore sentinella dei nostri diritti, per garantirli c'è bisogno d'alzare una diga normativa che li tuteli all'interno dei confini nazionali? È la proposta avanzata nel novembre scorso da Stefano Rodotà all'Internet Governance Forum: un articolo 21-bis della Costituzione, per proteggere le libertà telematiche. Deposito un'opinione dissenziente: non perché la Carta sia un tabù, ma perché non ce n'è bisogno, la formula dell'articolo 21 già adesso può applicarsi a internet, come del resto s'applica alla televisione, che nel 1947 era ancora lì da venire. Reclamare innovazioni costituzionali a giorni alterni, sulla scia di questo o di quel fatto di cronaca, rischia a conti fatti di svilire l'autorità della legge fondamentale, di farla percepire agli italiani come un ferro vecchio.
Viceversa dovremmo mettere a profitto un'esperienza che proviene da due paesi d'antica democrazia. Nel 1997 la Corte suprema americana ha bocciato il Telecommunications Act nella parte in cui vietava le comunicazioni indecenti su internet, perché in contrasto con il Primo emendamento: dunque una norma del 1791 è stata ritenuta sufficiente a difendere la libertà di parola elettronica. A propria volta, nel 2009 il Conseil Constitutionnel ha tratto il diritto d'accesso a internet dall'articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, una norma del 1789. Insomma, applicare un criterio d'economia costituzionale non va affatto a scapito delle esigenze di tutela. L'importante è che funzionino le istituzioni della democrazia; ma se la vicenda WikiLeaks può impartirci una lezione, è che nel terzo millennio queste istituzioni sono diventate un po' più fragili, un po' più disarmate.
michele.ainis@uniroma3.it
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