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Commenti e Inchieste

La bilancia rotta della giustizia

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2011 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 29 gennaio 2011 alle ore 09:10.

Alla girandola di cifre e di lagnanze attorno all'inaugurazione dell'anno giudiziario ci abbiamo fatto il callo. Se è per questo, anche alla rissa fra politica e giustizia, che nell'occasione s'infiamma puntualmente. Quanto allo sfascio della cittadella giudiziaria, ancora una volta non è che un déjà vu. Da un anno all'altro cambiano soltanto i numeri, e vanno sempre peggio. Ma un'emergenza prolungata non cessa di suonare come un'emergenza.

Il rischio viceversa è d'assuefarsi, di considerarla normale. Come se fosse normale attendere decenni prima che un tribunale distribuisca i torti e le ragioni. Come se fosse giusto rassegnarsi alla rapina dei nostri diritti. Perché se un diritto esiste, dev'essere azionabile. Altrimenti è un imbroglio, una promessa normativa buona per gli allocchi. Altrimenti lo stato è un truffatore, e per di più insolvente, come ha dichiarato ieri il Pg della Cassazione.

Tuttavia c'è un paradosso sepolto sotto le macerie del nostro sistema giudiziario. Sta di fatto che questa giustizia zoppa, cieca, inefficiente ha aperto un'inchiesta (quella di Milano) da cui dipendono le sorti stesse della legislatura. Quale migliore prova di potenza? E come si coniuga quest'energia demolitrice con i tempi biblici dei nostri tribunali? Potremmo desumerne che la magistratura è lo specchio del paese: potente con i potenti, impotente con gli impotenti, ovvero con noialtri, che non abbiamo cariche e prebende. Sarà per questo che nonostante tutto gli italiani ne apprezzano il lavoro (per Eurispes il livello di fiducia popolare viaggia al 53,9%, sei punti in più dell'anno scorso). Sarà perché abbiamo bisogno d'un angelo vendicatore, di una sentinella che difenda il principio d'eguaglianza, in quest'Italia sempre più ingiusta e disuguale. Sarà infine perché detestiamo in massa la politica e i politici, e difatti le truppe di quanti s'apprestano a disertare le prossime elezioni non sono mai state così numerose.

Ma nessun angelo può vivere all'inferno. Nessun sistema giudiziario può operare quando si scassa il sistema nel suo insieme. La magistratura - né più né meno della Consulta o del capo dello Stato - può correggere talune disfunzioni, può raddrizzare qualche gamba storta, tuttavia non può ricostruire la nostra cittadella pubblica, se la rade al suolo un terremoto. Le istituzioni si sorreggono a vicenda, o altrimenti crollano tutte quante insieme. E gli scricchiolii di questi tempi aumentano, sibilano dentro i nostri timpani. Nel frattempo la maggioranza attacca il presidente della Camera. L'opposizione chiede che a dimettersi sia viceversa il presidente del Senato. Il ministro degli Esteri viene denunziato per abuso d'ufficio. Il Copasir è paralizzato. E per sovrapprezzo il Pdl ventila una grande manifestazione di piazza contro i giudici.

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Tags Correlati: Copasir | Csm | Eurispes | Italia | PDL

 

Sicché calma e gesso, per favore. Senza una tregua complessiva non si salverà nessuno. E a mettere pace devono essere anzitutto i signori di partito, rinunziando a contrastare in termini politici le inchieste giudiziarie, o rinunziando a usarle come clave per colpire l'avversario politico di turno. Poi, certo, servono riforme. Ieri l'ha detto pure il ministro Alfano, ammettendo così di non averle ancora fatte. E servono risorse, perché senza quattrini non si canta messa. Magari cominciando dall'informatizzazione degli uffici giudiziari, dato che a quanto pare in Italia siamo all'età della pietra. Oppure rimpolpando gli organici del personale tecnico (7mila addetti in meno negli ultimi 10 anni). In ultimo serve un bel paio di forbici, serve depenalizzare, gettare in un cestino le troppe fattispecie di reato, non foss'altro che per ridurre il sovraffollamento carcerario, un'autentica vergogna nazionale.

Tuttavia nessun belligerante può siglare una tregua solitaria. Dev'essere d'accordo pure l'altro, l'esercito nemico. Non che per i giudici la tregua significhi archiviare le notizie di reato sui politici, ci mancherebbe. Significa però fare pulizia nei propri corridoi, mettendo in archivio il correntismo, la smania di protagonismo, il corporativismo e tutti gli altri "ismi" che ne affievoliscono l'imparzialità e il prestigio. Significa declinare anche fra le mura giudiziarie un principio che risuona per ben 13 volte nella Carta costituzionale: il principio di responsabilità. Ieri il Pg Esposito ci ha informato che nel 2010 sono stati sottoposti a procedimento disciplinare il 19,48% dei magistrati in servizio: bella notizia. Però il Csm ha applicato misure cautelari soltanto in cinque casi. E questa no, non è una lieta novella.

michele.ainis@uniroma3.it

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