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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 08:14.
Un paradigma molto in voga nello scorso decennio riteneva i paesi arabi inadatti, quasi irrecuperabili alla democrazia. Ciò a causa della dipendenza delle loro economie dal petrolio o perché innervati dalla religione islamica. Nomi prestigiosi come Bernard Lewis e Samuel Huntington hanno sostenuto con convinzione questa tesi.
Ancora più esplicito fu Elie Kedourie quando scrisse, già nel 1992, che non c'è «nessun tratto nella tradizione politica del mondo arabo - che poi sarebbe la tradizione politica dell'Islam - in grado di rendere familiari, o quantomeno intellegibili, i presupposti organizzativi di un governo rappresentativo costituzionale».
In realtà così non è. Quando il presidente americano Barack Obama, intervenendo all'Università del Cairo nel 2009, ha pronunciato la parola democrazia il pubblico - fino a quel momento attento ma composto - è scoppiato in un applauso fragoroso. Un episodio che dimostra quanto il desiderio di cambiamento e il riferimento ai modelli di democrazia "occidentale" non fossero estranei al mondo arabo.
Infatti la rivolta in corso che attraversa tutti i paesi del Mediterraneo fino allo Yemen non presenta uno specifico cultural-religioso: ha caratteristiche universali. Siamo di fronte a un movimento paragonabile per certi versi a quello che ha attraversato l'Europa dell'Est nel 1989: una domanda di libertà - e di benessere - per essere "simili" all'Occidente, non per differenziarsi con una sorta di via speciale.
L'impronta cultural-religiosa dei manifestanti dei paesi arabi non impedisce loro di richiedere le stesse cose che rivendicavano i tedeschi di Dresda e Lipsia nell'estate del 1989: pane e libertà (tenuto conto del diverso tenore di vita ovviamente : per i tedeschi erano le agognate e rarissime banane, per i magrebini è proprio il pane).
Così come la rivoluzione di velluto dell'89 colse alla sprovvista tutti, altrettanto oggi sorprende la rapidità con cui si sta sviluppando questo moto di liberazione. È sempre molto difficile identificare il punto di rottura di un regime autoritario.
Però sappiamo che quando vi è un stato di malessere latente che "cova" da tempo nell'opinione pubblica, ma che non si esprime per apatia o paura, basta un innesco casuale - in Tunisia il suicidio di un disperato, vessato dalle autorità - per far scoppiare un incendio.