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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 08:56.
L'ultima modifica è del 01 febbraio 2011 alle ore 08:59.
Come evolverà a breve termine la situazione in Egitto?
Credo che assisteremo a una prosecuzione dei disordini per qualche tempo. Lasciare le città in mano agli sciacalli può essere la strada più comoda per imporre con più decisione, e dall'alto, la soluzione autoritaria, con l'assegnazione del potere a una nuova "casta" politica. Un caos vigilato, insomma, magari contrassegnato dall'aggiornamento delle violenze, potrebbe dare il via libera a un nuovo ordine. Non è da escludere quindi un aggiustamento degli equilibri anche con l'intervento autoritario dei militari.
Quale ruolo può avere l'Occidente in questa fase storica?
Da parte degli Stati Uniti occorrerebbe un aiuto ma senza eccessi, non la solita predica neoimperialista. L'Europa invece dovrebbe tenere un comportamento più maturo, magari sostenendo un intervento diplomatico di alto profilo, come è stato tentato anni fa (seppur senza successo) in occasione della questione israelo-palestinese.
Quale lo scenario di lungo periodo: stretta del regime, più democrazia o terza via?
Sul lungo periodo sono ottimista. L'Egitto riuscirà a sviluppare un modello di democrazia simile a quella turco, in cui l'esercito farà un passo indietro e i fondamentalisti islamici saranno capaci di autolimitarsi. Una democrazia "controllata", per così dire, ma funzionante. L'evoluzione sarà lentissima ma ci sarà. E molto si dovrà a un ceto medio egiziano, formato da un piccola borghesia crescente, che è desideroso di un forte cambiamento.