Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2011 alle ore 08:23.
Doveva essere la fusione che scriveva il futuro del web: Aol aveva le chiavi di internet, Time Warner i contenuti. Si trasformò in un incubo per entrambe, poco più di un anno fa si arrivò al divorzio consensuale: troppe le differenze di cultura, ognuno per la sua strada. Da allora Aol ha cercato di creare una media company ripartendo dal web: la musica, i siti locali di Patch, i blog da geek tecnologici come Techcrunch e, adesso, la ciliegina dell'Huffington Post.
Il sospetto è che la campagna acquisti sia troppo onerosa per Aol, con l'obiettivo di aumentare l'audience superando i cento milioni, ma anche accrescendo il valore di quel traffico con brand di qualità (anche dal punto di vista pubblicitario), come l'aggregatore di blog informativi della Huffington. Aol mantiene comunque la barra dritta sulla sua cultura web puntando sull'informazione "partecipata", ad alto tasso di autorevolezza e trasparenza. Gli stessi principi in teoria invocati da WikiLeaks, il sito che da mesi fa tremare le diplomazie mondiali a suon di dossier e documenti utilizzati con spregiudicatezza. Di quella trasparenza forse Julian Assange si è fatto scudo per giocare una sua battaglia personale. Più che al servizio di un'informazione "partecipata".