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Commenti e Inchieste

Draghi, meglio in Bce o in Bankitalia? Il tifo di un lettore

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2011 alle ore 14:17.

Gentile direttore, con la scadenza dell'attuale presidente della Bce Jean-Claude Trichet e la rinuncia a candidarsi alla successione del numero uno della Bundesbank Axel Weber e dopo le parole di sostegno del ministro Tremonti: «È un'ottima candidatura e sarà sostenuta dal governo», sembrano esserci per Mario Draghi ottime possibilità di ricoprire l'incarico di presidente della Bce. Personalmente considero il professor Draghi un vero uomo delle istituzioni, con uno stile d'altri tempi, dove la competenza e il rigore si sposano con la serietà e la discrezione.

Caro Direttore, egoisticamente, non ritiene che il Governatore di Bankitalia serva più a noi che all'Europa ?
Andrea Sillioni
Bolsena (VT)

Caro Sillioni concordo: ma posso rinviarla alla lettura di Polaris, la nostra rubrica del Domenicale sui tic e i tabù del nostro tempo? Oggi quella stella che si picca di orientarci ha qualcosa da dire su un'Europa che preferisce i topolini ai draghi. La legga e mi dica poi cosa ne pensa: io ripeterò presto cosa noi del Sole pensiamo su Bce e Draghi. Mi faccia per ora solo azzardare una risposta alla sua lettera. Il governatore Draghi è tifoso della «maggica» Roma: ma come Totti ha illuminato la squadra della capitale e fatto grandi partite in Nazionale, anche il giallorsso Draghi potrebbe, dopo la squadra di Bankitalia, giocare con la nazionale europea della Bce. Non le pare?

Il domino del Maghreb
Gentile direttore, con la "vacanza presidenziale" a Sharm cade, dopo il secondino tunisino, il più importante regime filo-occidentale del Mediterraneo africano. È sensato temere che possano cadere anche le traballanti "monarchie arabo-illuminate" marocchina e giordana? E la Libia?
Matteo Maria Martinoli
Milano

L'Alto Adige, l'Unità...
Gentile direttore, scrivo a proposito dello scontro tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il governatore altoatesino Luis Durnwalder, che si rifiuta di festeggiare l'Unità d'Italia affermando che Bolzano non è mai appartenuta all'Italia fino al 1919. Infatti Bolzano apparteneva all'Impero asburgico fino al 1919, non alla Repubblica federale austriaca che evidentemente prima non esisteva. Dove vuole tornare Durnwalder, sotto gli Asburgo? O l'Impero romano? O sotto la Germania, visto che le province di Bolzano, Trento e Belluno sono state annesse al Reich dopo l'8 Settembre 1943 fino al 25 aprile 1945 ed erano quindi direttamente sotto l'autorità di Hitler senza che nessun referendum fosse indetto? I giochetti della storia sono solo capziosi. Stiamo costruendo l'Unione Europea e Durwalder non se n'è accorto.

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Tags Correlati: Andrea Sillioni | Asburgo | Banca d'Italia | Bce | Bolzano | Bundesbank | Durwalder | Gianni Brambilla | Giorgio Napolitano | Istituzioni dell'Unione Europea | Jean-Claude Trichet | Lombardia | Luis Durnwalder | Mario Draghi | Matteo Maria Martinoli | Veneto | Viterbo

 

Gianni Brambilla
e-mail

...e il passato che non passa
Gentile direttore, i battibecchi tra Quirinale e Durnwalder riguardano la questione del 17 marzo, della "festa non festa". Gli abitanti del Südtirol si sentono austriaci e questo è un fatto, si sentono però italianissimi quando si tratta di tirare le somme e accettare di buon grado di ricevere dallo Stato italiano molto più di quello che pagano in imposte. Guai anche solo a pensare per un attimo di portare il rapporto tra tasse pagate e servizi ricevuti allo stesso livello di Veneto o Lombardia o di qualsiasi altra regione privilegiata. Da quel punto di vista l'appartenenza all'Italia unita dovrebbe essere per questa regione motivo di festa quotidiana. Per il resto, per quanto riguarda il festeggiamento del 17 marzo mi limito a notare che quel territorio passò sotto il tricolore solo dopo la Prima guerra mondiale. I sudtirolesi-altoatesini sono italiani da meno di 100 anni e lo sono diventati solo come conseguenza di un conflitto armato.

Lettera firmata

Telefoni sotto controllo
Gentile direttore, nell'ambito della questione delle intercettazioni un'evidenza traspare dai fatti della gente comune. Stando al telefono spesso l'interlocutore, di fronte a una discussione animata per fatti delicati ma non certo dolosi, afferma: «Non parliamo al telefono, ci potrebbero sentire, meglio farlo da vicino». È strano che proprio all'apice della tecnologia, tra telefoni e cellulari, si ha l'impressione di avere a che fare con strumenti che servono a tutto meno che a comunicare liberamente. Certo che l'intercettazione sarà anche indispensabile per inchieste delicate, ma credo che si sta esagerando un po'.
Lettera firmata

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