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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2011 alle ore 14:00.
Quattromila sbarchi in quattro giorni. Cifre che rimandano agli esodi biblici degli anni 90, quando le carrette del mare portavano sulle coste dell'Adriatico torme di diseredati dall'Albania. Ora come allora è essenziale tenere i nervi saldi e affrontare con intelligenza una situazione che non deve assolutamente sfuggire di mano. Bene dunque ha fatto il governo a riunirsi ieri senza indugi, proclamando lo stato d'emergenza. Prime misure significative, come l'invio di 200 militari e l'allestimento di tendopoli per accogliere i migranti, che nel frattempo devono essere sgomberati da Lampedusa, la prima linea del fronte.
Ma è solo il primo passo, anche perché il vero timore è che dopo la Tunisia – da cui stanno partendo in queste ore altre centinaia di persone – possa toccare a Egitto e Algeria. Un problema che l'Italia da sola non può essere in grado di sostenere: tocca dunque all'intera Europa studiare contromisure, intervenire direttamente, dare speranze in patria a chi vuole partire sull'onda dell'emozione che dilaga nei paesi del Maghreb. Poco tempo per decidere, nessuna possibilità di sbagliare.