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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2011 alle ore 08:29.
Gentile direttore, mi sembra che la polemica sulla festa nazionale del 17 marzo stia raggiungendo livelli grotteschi. Il 150° anniversario di un evento così importante nella nostra storia meriterebbe più rispetto.
Ne beneficerebbero anche i giovani, ai quali stiamo solo insegnando che più di tutto contano i soldi o l'ideologia. Nessuno, infatti, contesta, con motivazioni simili a quelle di questi giorni, feste come quelle del 25 aprile, del 1° maggio o del 2 giugno.
Alberto Casirati - Azzano S.Paolo (BG)
La festa pesa poco sulla produttività
Gentile direttore, mi pare che sulla festa del 17 marzo si stia verificando la solita contrapposizione ideologica, pilotata da chi non considera l'Unità valore fondante della nostra Repubblica. In termini pratici, infatti, nel 2011 vengono meno, coincidendo con sabati e domeniche, Capodanno, 25 aprile e 1° maggio: tre giorni lavorativi in più per tutti. Il 17 marzo festivo, quindi, inciderebbe limitatamente su una situazione già favorevole alle attività produttive.
Vista la significatività e l'eccezionalità della ricorrenza (la prossima sarebbe nel 2061) capisco in parte, ma non comprendo, l'accanimento che molti dimostrano contro di essa. Anche perché, in termini retributivi, previo accordo fra le parti, la nuova e non ricorrente festività potrebbe semplicemente sostituire una delle tre sopra citate. Cosa che eliminerebbe ogni obiezione dei datori di lavoro e sarebbe, credo, anche accettabile da parte dei lavoratori. Privando, quindi, di diverse ragioni chi, in quest'occasione, si è dato solo l'obiettivo di eliminare "a priori" un momento fortemente simbolico per il nostro essere nazione.
Luigi Chirico - Torino
Le colpe dell'opposizione divisa
Gentile direttore, le anomalie della politica italiana non sono state provocate soltanto da Silvio Berlusconi, che da diversi punti di vista può essere visto come la vittima o il colpevole dell'attuale sistema.
La più evidente anomalia è invece da rintracciare nella mancanza di un'opposizione forte, coesa e credibile. Non c'è solo la frammentazione dell'opposizione divisa in diversi tronconi di centro (Udc), centro-destra (Fli), centro-sinistra (Pd) e sinistra (Sel), spesso incompatibili fra loro, ma anche la divisione al proprio interno. Il Partito democratico è ormai talmente lacerato da essere costretto a seguire l'intraprendenza altrui, come nel caso di Roberto Saviano, subendo l'iniziativa di altri, invece di proporre le proprie idee. Ogni volta che ci si confronta su un tema concreto, che può essere per esempio il piano nucleare, oppure il caso Eluana, all'interno del Pd si formano schieramenti avversi, e a volte qualche esponente politico abbandona il partito per confluire in un'altra formazione. Circa questa situazione dell'opposizione non ha nessuna responsabilità Berlusconi, ed è puerile far credere agli elettori che ogni male italiano provenga sempre dalla stessa persona. Paradossalmente è l'opposizione che potrebbe cantare "meno male che Silvio c'è" perché è molto comodo dargli la colpa di tutto. Ma anche l'uscita di Berlusconi dalla politica non cambierebbe alcunché negli schieramenti attuali.