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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 24 febbraio 2011 alle ore 08:44.
Per ora, in gioco ci sono solo aspettative. La Libia conta poco, il 2% della produzione di petrolio mondiale. L'intero Maghreb in fiamme, più l'Egitto, si ferma tra il 5 e il 6. «La Libia è più un simbolo che altro», spiega Veronique Riches Flores di Société Générale (Sg) che pure riconosce che «la veloce diffusione delle rivolte ha spinto molti investitori a pensare al peggio». I prezzi sono quindi saliti a livelli già pericolosi: un aumento di 20 dollari al barile si può tradurre in una flessione di un punto percentuale del Pil mondiale.
Si possono dimenticare le ricerche di James Hamilton, docente alla California University, secondo cui ogni recessione americana è stata preceduta da un rialzo del petrolio? Anche l'ultima, quella del 2008, quando il greggio salì a 146 dollari. Sg calcola allora che quota 136 dollari già scatenerebbe una recessione come quella di tre anni fa, e quota 200 una crisi in stile anni 80.
Dal 2008, però, gli investitori dovrebbero aver imparato qualcosa: tre anni fa avevano immaginato - ha spiegato Hamilton - che i consumatori americani (e non solo...) avrebbero reagito come nei passati episodi di caro-petrolio e mantenuto invariata la spesa per carburanti riducendo i consumi di altri beni. Invece, a calare sono stati anche i consumi di energia, come hanno dolorosamente avvertito le case automobilistiche.
Il quadro resta quindi molto più incerto del normale; e il rischio, ora più lontano, di un reciproco "rinforzarsi" tra i rialzi del greggio e quelli di alimentari e altre materie prime - in uno schema già da pre-bolla - era stato individuato dalla JPMorgan già a gennaio. Il comportamento degli investitori conferma il peso di questa incertezza. Hamilton nota che oggi qualcosa sul mercato sembra non funzionare: la differenza tra i prezzi del greggio Brent, più alti, e del Wti è ai massimi storici. Le ragioni di questo spread sono tante, molti citano il livello record delle scorte Usa. In ogni caso gli investitori non approfittano, almeno sui futures, della differenza per guadagnare sugli arbitraggi. Come se qualcosa «li stesse spaventando».