Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 09:35.
L'ultima modifica è del 24 febbraio 2011 alle ore 09:36.
Le dichiarazioni italiane, le prese di posizione europee, le condanne delle Nazioni Unite non bastano. Mettere in guardia sul rischio del fondamentalismo islamico, nel caso il regime quarantennale di Muammar Gheddafi dovesse finalmente cadere, non serve assolutamente a nulla se, nel frattempo, a Bengasi e a Tripoli e nelle altre città libiche le milizie del Colonnello continuano a sparare ad altezza d'uomo sui manifestanti. La priorità è fermare il massacro, poi contenere gli effetti dell'inevitabile caduta del regime e, infine, aiutare il processo di ricostruzione del paese. Questo è il nostro interesse nazionale, oltre che la cosa giusta, etica e morale da fare.
Non abbiamo bisogno nemmeno di usare la tragedia libica a fini di politica interna. Creare polemicucce sui cadaveri libici per meglio assestare un colpo a Silvio Berlusconi o a Massimo D'Alema, come capita di assistere in televisione e pure in Parlamento, non è da paese serio. Se Gheddafi spara non è colpa della politica filo-araba di Giulio Andreotti o di Gianni De Michelis. La colpa è di Gheddafi e, semmai, della comunità internazionale che glielo consente. L'impresentabilità del Colonnello non è imputabile né a Romano Prodi né a Massimo D'Alema né a Silvio Berlusconi, nonostante tutti e tre abbiano mostrato grande, ammirata ed eccessiva amicizia nei confronti del "re dei re" libico.
Giulio Andreotti diceva che i paesi confinanti, purtroppo, non ce li scegliamo. Naturalmente aveva ragione. Con i vicini produttori energetici e porta d'ingresso dell'immigrazione clandestina si è costretti a trovare un punto d'incontro. L'idea di un trattato di amicizia con la Libia, anche tenendo conto dei misfatti commessi in età coloniale, non era di per sé un'enormità, come testimonia il voto bipartisan espresso dal Parlamento italiano nel 2009 (tranne piccole eccezioni). Tanto più che a cominciare dal 1999, e ancor più dal 2003, Gheddafi ha ammesso le colpe del passato, ha consegnato i programmi nucleari e ha collaborato con l'Occidente. Certamente avremmo dovuto pretendere concessioni, riforme, aperture democratiche e non solo i preziosissimi contratti per le nostre aziende, anche per renderli più sicuri, ma chiudere l'era in cui i libici sparavano sui pescherecci di Mazara del Vallo o lanciavano missili su Lampedusa non era una strada sbagliata.