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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 25 febbraio 2011 alle ore 06:40.
Il milleproroghe ha ormai destato perplessità fin nella suprema magistratura. La parte riguardante lo spettacolo conferma in generale quel che si può dire del resto. L'elaborato legislativo non risponde alle necessità del settore, e al suo posto il problema viene rinviato a tempi migliori; nel caso in esame, di due anni.
Le fondazioni liriche, come ho scritto altre volte, non contemplano distinzioni di ruolo fra direzioni e sindacati. Né i soprintendenti né i sindacati possono esser definiti controparte del governo.
Il sistema spettacolo, in particolare quello delle fondazioni lirico-sinfoniche (le sole prese in considerazione dal milleproroghe) è di fatto un sistema di partecipate comunali. E la partecipata comunale, anche dove la Lega impera, nel nostro paese è sovente in odore di clientelismo. Quanto è venuto alla luce nelle opere pie milanesi non è molto differente da quanto si verifica correntemente a Roma (Atac) e nell'Italia meridionale (Napoli servizi o Gesip a Palermo).
Un po' di storia e un po' di cifre. La riforma Dini-Veltroni, passata poi come riforma Melandri (1996), ha trasformato gli enti lirico-sinfonici in fondazioni lirico-sinfoniche, aprendo contestualmente la porta alla dismissione del settore. L'organico e i Ccnl degli enti lirici, allora di diritto pubblico, dovevano esser approvati dal ministero vigilante. Nell'approvare organico e contratti, il Mibac assumeva di riflesso una corresponsabilità nella voce principale di spesa. Le fondazioni sono istituzioni di diritto privato, anche se il consiglio d'amministrazione prevede una maggioranza pubblica e il sindaco ne è presidente per statuto. Allo stesso tempo l'ipotesi salvifica dei soci privati finiva col deresponsabilizzare lo Stato. In breve giro di tempo i fondi privati invece che integrativi furono considerati sostitutivi. Già nel primo anno del nuovo ordinamento (1996) il settore musica subì un taglio dell'8,2% da 325 milioni di euro a 312 milioni. E negli esercizi 2010 e 2011, si è passati da 210 a 129 milioni. A prescindere dal taglio numerario del 60% sul 1996, il taglio comprensivo di svalutazione raggiungeva già il 35% nel 1996 rispetto alla base 1985, oggi sarebbe sull'80 per cento. Chiaramente il recupero di differenze così elevate non sarebbe stato possibile senza un incremento consistente del supporto da parte degli enti locali. Questi hanno per molto tempo fornito una quota ingente di quanto lo Stato toglieva. Quanto ai privati, il recupero è stato vistoso soltanto alla Scala. Sta di fatto che nel 2010 si calcola che le fondazioni lirico-sinfoniche abbiano aumentato la loro esposizione di circa 70 milioni. E si parla di una esposizione totale sui 200 milioni.