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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2011 alle ore 09:54.
L'ultima modifica è del 26 febbraio 2011 alle ore 08:14.
Come sarà il mondo nel 2050? Sembra un giochino per futurologi, un esercizio per statistici, una previsione al buio. Ma come, non sappiamo come andranno a finire le rivolte nel Nordafrica, non sappiamo se trionferà il fondamentalismo o se vincerà la democrazia, non sappiamo che cosa succederà tra una settimana e ci preoccupiamo di quello che sarà nel 2050? Invece il rapporto Citigroup sugli scenari globali di lungo periodo (che segue un altro rapporto della Fondazione Nardini sullo stesso argomento) disegna uno scenario inquietante per la Vecchia Europa.
Il suo peso, il nostro peso, scenderà al 7% del totale, meno dell'Africa (12%) e dell'America Latina (8%). Solo la Germania resterà tra i dieci maggiori paesi del mondo fino al 2050. L'Italia uscirà dal novero dei dieci grandi nel 2020, la Francia nel 2040. Allarmismo, catastrofismo? O piuttosto una lucida analisi dei nostri mali attuali, non del 2050? La crescita lumaca, i deficit che salgono, i debiti che galoppano, la governance del continente traballante non sono visioni. È la cruda realtà prodotta dalle non scelte, l'Europa dei Van Rompuy e delle Lady Ashton. Ma anche dei governi nazionali paralizzati e incapaci di fare le riforme necessarie per guardare al futuro e non specchiarsi in un passato che non ci sarà più.