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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 18 marzo 2011 alle ore 09:53.

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Nel discorso di ieri al Parlamento, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato particolarmente efficace nell'evidenziare l'eredità più importante che l'Italia di 150 anni fa tramanda a quella di oggi, ossia la natura del regime cui diede vita il Risorgimento: una nazione parlamentare, democratica e liberale. Napolitano ha parlato dell'unità come di "impresa straordinaria"; citando Mazzini, ha ricordato le condizioni dell'Italia preunitaria, ostacolata dalle divisioni nelle stesse sue opportunità di crescita anche civile; ha raccomandato di non ignorare lo «storico balzo in avanti» che l'unificazione assicurò al paese; ha lodato le successive politiche dello stato liberale per tutelare l'autonomia del magistero spirituale della Chiesa.

Ma, soprattutto, ha enfatizzato l'apporto di Cavour perché l'unità si compisse, secondo le parole del conte, nella «legalità costituzionale». Qui sta il punto. L'Italia fu il risultato di trame diplomatiche, guerre sanguinose, eroismi individuali e collettivi che trovarono compimento in uno stato democratico e liberale, che nacque in Parlamento. Del 17 marzo 1861 si ricorda (come hanno mostrato di non sapere i deputati intervistati dalle Iene) non un atto di conquista, ma un solenne atto parlamentare.

Fu questo il miracolo di Cavour: la "parlamentarizzazione" del processo di unificazione, voluta dal presidente del Consiglio, era rivolta a costruire un modello di stato liberale, che potesse mettere al riparo le istituzioni dalle "dittature" di Garibaldi e dagli scatti autoritari di Vittorio Emanuele (al quale ieri Napolitano ha reso omaggio, con impeccabile garbo storiografico).

Quello che nacque nel 1861 perciò fu tutt'altro che un regime autoritario, ma uno stato di diritto, erede di quel Regno di Sardegna che era stato l'unico in Italia a mantenere lo Statuto e le istituzioni rappresentative. Il recente, bel libro di Gian Enrico Rusconi che esamina le due parallele esperienze di Cavour e di Bismarck mette in luce la differenza abissale tra il modello liberale realizzato dal primo e quello autoritario del secondo. I criteri delle democrazie liberali di allora (quando votavano poche centinaia di migliaia di persone) erano diversi da quelli attuali. Questo passava il convento; e Cavour, attraverso il contenimento delle spinte reazionarie, voleva evitare (come gli avrebbe riconosciuto Gramsci) che la questione sociale esplodesse nella rivoluzione.

Quel tratto d'origine liberale e democratico in Italia resse a lungo: anche quando si manifestarono conati reazionari e autoritari (ad esempio, con le cannonate di Beccaris) il sistema seppe reagire e dare vita a nuove stagioni liberali e riformatrici, come quelle segnate dai nomi di Zanardelli e di Giolitti, che tentò poi d'inserire nella vita pubblica cattolici e socialisti: il suo fallimento (non solo per colpa sua) fu la fine della democrazia.

Chi ha più di cinquant'anni ricorderà che nel 1961 a noi allora studenti il ministro della Pubblica istruzione fece consegnare due volumetti sul Risorgimento (che conservo gelosamente) che si concludevano coi testi dello Statuto albertino e della Costituzione repubblicana. L'affiancamento non è arbitrario. In fondo, come ha notato l'ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, i due testi possono essere letti come simbolo dei due Risorgimenti che hanno fatto la storia d'Italia: entrambi segnati anche da pagine oscure, dolorose, perfino squallide, da «criticità e negatività», sempre per dirla con Napolitano; ma comunque espressioni di vicende che alla fine ci hanno fatto migliori. Lo stesso è successo del resto in tutti i grandi paesi, nessuno dei quali è esente da pagine di cui ci sarebbe da vergognarsi, ma che nulla tolgono all'orgoglio di essere nazione. Proprio quel tratto liberale e parlamentare è la "virtù d'origine" della nazione italiana. È un patrimonio di tutti: sia di chi diffida (a Nord come a Sud) dello stato unitario; sia di chi riscopre il Risorgimento dopo averlo bollato per anni come una trama massonica o un complotto borghese.
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