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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2012 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 21 febbraio 2012 alle ore 06:40.

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Sedici chilometri da Pompei, stessa Soprintendenza ma altra musica nella conservazione e negli interventi di restauro: l'antica Ercolano è oggetto di studio come best practice nella gestione delle aree archeologiche.

Merito di un mecenate: David W. Packard, figlio del cofondatore del colosso dell'informatica Hp e presidente del Packard humanities institute, fondazione senza scopo di lucro con sede in California che contribuisce alla conservazione del patrimonio storico, archeologico e cinematografico.

Per l'antica città ha investito 16 milioni in dieci anni, partnership che si appresta a rinnovare. Una circostanza fortuita ha fatto sì che a beneficiare della generosità del milionario fosse Ercolano: Packard junior ha studiato filologia, nel 2000 arriva a Roma dove finanzia il restauro della biblioteca dell'Accademia britannica. Visita la Villa dei Papiri, che ha restituito centinaia di documenti con opere letterarie greche che si credevano perse. Si meraviglia per il degrado del sito: all'epoca due terzi dell'area non erano visitabili. Packard si muove: nel 2001, da un protocollo tra la fondazione che gli fa capo e la Soprintendenza pompeiana, nasce l'Hcp, tre anni più tardi il salto di qualità. Inizia una collaborazione tra Packard, Soprintendenza e Accademia britannica che dà lavoro a un gruppo interdisciplinare di specialisti e a imprese prevalentemente italiane.

Il modello funziona: la supervisione delle attività è curata da un Comitato che fa capo alla Soprintendenza. Programmazione, realizzazione degli interventi e monitoraggio sono di un gruppo di funzionari della Soprintendenza tra cui la direttrice degli scavi di Ercolano, Maria Paola Guidobaldi, e la project manager, l'architetto gallese Jane Thompson. I risultati dal 2001 a oggi sono evidenti: due terzi dell'area sono visitabili, compreso il decumano massimo che ospita un percorso multisensoriale adatto ai disabili. Le coperture degli edifici nell'80% dei casi sono state riparate o sostituite, così come è stata restaurata la rete fognaria antica per gestire la dispersione delle acque meteoriche, prima causa di degrado e potenziali crolli.

«Al di là delle risorse - racconta la direttrice Guidobaldi - il progetto Hcp ci ha messo a disposizione capitale umano che ha contribuito alla gestione del sito». Altrettanto fondamentale, secondo Thompson, si è rivelata «l'autonomia della Soprintendenza di Napoli e Pompei. Un filantropo, per giunta straniero, avrebbe molta più difficoltà a confrontarsi con la burocrazia e i meccanismi del ministero. Con le nuove norme sulla sponsorizzazione, un privato deve necessariamente passare attraverso una procedura ad avviso pubblico». E poi anche: «L'Iva sui restauri archeologici - spiega l'architetto - è al 21%, domani forse al 23% contro il 10% di cui può beneficiare chi effettua interventi sull'abitazione storica in cui vive». Parità di trattamento tra queste due situazioni forse aprirebbe le porte a qualche filantropo in più.

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