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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2012 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 23 febbraio 2012 alle ore 06:41.

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Solo poco più di quattro imprese ogni cento in Italia si occupano di cultura, arte e creatività. Eppure siamo l'Italia, il Paese dove il dolce sì suona, dove son nati Michelangelo, Leonardo, Raffaello e via enumerando. In Europa fan tutti meglio: Germania, Spagna, Francia e Regno Unito.

Secondo Civita, che ha elaborato dati Eurostat del 2009, il panorama italiano è in affanno: oltre 176mila aziende che rappresentano il 4,4% del totale e che danno lavoro a 355mila persone, circa il 2,2% degli occupati. L'Italia è fanalino di coda sia per percentuale di imprese (in Germania sono sei su cento) sia per percentuale di addetti (nel Regno Unito e in Francia si supera il 3%). E nel biennio considerato dalla ricerca di Civita, che sarà presentata al summit di oggi di Milano, l'Italia ha subìto una lieve contrazione nel numero delle imprese e degli addetti: pochi decimali di punto che ricalcano l'andamento complessivo dell'economia: «Il comparto è fragile - dice Pietro Valentino, docente di Economia politica alla Sapienza ed esperto di marketing culturale -: hanno retto meglio ambiti creativi quali il design e il cinema, mentre i beni culturali sono stati più in difficoltà».

Certo, nel nostro Paese, la crisi ha tagliato anche i fondi pubblici: «In Francia e Germania - prosegue Valentino - il settore nel suo complesso ha registrato tassi di decrescita inferiori all'Italia perché lo Stato ha sostenuto alcuni ambiti. In Francia, i fondi pubblici hanno dato spinta ai musei e a tutta l'industria che lavora attorno alle grandi raccolte».
Probabilmente - è la riflessione di Valentino - nel biennio 2010-2011 si andrà accentuando il tasso di decremento delle attività culturali: «Di certo, però - conclude - saranno cali inferiori a quelli delle attività economiche e che possiamo ipotizzare attorno allo 0,5 per cento».

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