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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 alle ore 07:42.
L'ultima modifica è del 24 febbraio 2012 alle ore 06:39.
Cultura e impresa, in Italia, hanno viaggiato per troppo tempo su binari paralleli. Purtroppo. Linguaggi diversi, diffidenze reciproche, pregiudizi. Ultimamente qualcosa è cambiato. Adesso, probabilmente, siamo ancora nel guado. Ma è il momento giusto per innescare un circuito virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela dei beni e occupazione. Perché è innervatura della crescita e dello sviluppo.
Se n'è discusso ieri a Milano, in occasione del summit promosso dal Gruppo 24 Ore – nella sede centrale di via Monte Rosa – a partire dal manifesto per una «costituente» della cultura lanciato domenica scorsa e che ha avviato un dibattito articolato e vivace.
Dunque, sponsor o mecenati? «Per il futuro servono veri investitori in cultura», risponde sicuro Roberto Cecchi, sottosegretario ai Beni culturali, di fronte a una platea di circa mille tra studiosi, esperti, operatori del settore, responsabili di aziende, fondazioni e istituti di credito. «È vero – incalza Cecchi –, impresa e cultura sono mondi che si stanno avvicinando. Ed è una rarità perché a discutere di questi argomenti, negli ultimi trent'anni, erano due sponde contrapposte». Esiste però un meccanismo malato da sanare: «La cultura – aggiunge – considera l'imprenditoria come una sorta di elemosioniere, per un settore che deve essere tenuto in qualche maniera in vita e per alimentare qualche buon discorso da salotto.
Ma è una canna d'ossigeno per un paziente terminale. Sostentamento, protezione: sono termini che non indicano, invece, un rapporto sano e sincero tra pubblico e privato».
L'esperienza di tanti racconta che ci può essere un dialogo fecondo (tra i tanti, hanno parlato l'Eni e la Telecom, la Fondazione Bracco e la Venice Foundation, l'Edison e l'Azienda speciale Pala Expo di Roma). Preoccupati, certo, per i cordoni della borsa sempre più stretti, anche in sede europea. Ecco: in questa ingrata congiuntura di recessione ha senso parlare investimenti in cultura? Sì, secondo la ricerca instant "Cultura e comunicazione d'impresa in tempo di crisi", realizzata nei giorni scorsi da The Round Table, dall'Istituto di ricerche Astarea con 24Ore Cultura. È la quarta edizione di un Osservatorio avviato nel 2006. Ebbene, le aziende che scelgono la cultura, nella grande maggioranza dei casi lo considerano un investimento efficace; la sentono in sintonia con il linguaggio "corporate"; e le sempre più frequenti politiche di Corporate social responsibility trovano in essa un'importante opportunità.
Il report 2012 è stato condotto con un metodo qualitativo, coinvolgendo un duplice panel: otto imprese hanno partecipato a un forum online di cinque giorni, sviluppato su quattro temi; 15 aziende e fondazioni "erogative" hanno risposto a interviste one-to-one attraverso un questionario di dieci domande. Sono emersi suggerimenti e spunti per parlarsi di più. La cultura, emerge soprattutto, diventa una via maestra per parlare di "valori" e per rapportarsi con il territorio.
Sembra una buona ricetta anche per l'economia locale. Cecchi snocciola dati: nel Belpaese ci sono 12 milioni di metri quadrati di parchi archeologici, 350mila metri quadrati di spazi espositivi 24 milioni di volumi in 46 biblioteche. «Non solo – incalza il sottosegretario – possiamo vantare una rete di oltre 5mila musei, di cui 424 nazionali, con 37 milioni di visitatori all'anno; ma il 50% del pubblico va soltanto in otto di queste istituzioni. Lo Stato deve rimanere, per sostenere e tutelare, ma la rete delle imprese deve aiutare a polarizzare con intelligenza l'attenzione sui territori. Ne avremmo davvero un grande beneficio».
Tutt'altro che "troppo Stato", insomma, anche se la lentezza burocratica costituisce ancora ceppi pesanti per il sistema. È la preoccupazione di molti, accompagnata dalla morsa fiscale e dai problemi gestionali. «Il museo rimane luogo di incontro con la storia e deve mantenere la sua vocazione», sostiene Cristiana Acidini, soprintendente del Polo museale di Firenze. Quindi, né mecenati né mercanti, tout court. Bisogna andare oltre, è stato l'auspicio di tutti sull'onda del manifesto del Sole 24 Ore. Cittadini a tutto tondo, civil servant, un'impresa per tutti, a ogni livello, per ridare – presto e bene – sostanza e contenuti alla crescita dell'Italia. Anche con profitto.