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Questo articolo è stato pubblicato il 29 febbraio 2012 alle ore 09:04.

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La via inglese alla cultura passa per i portafogli dei privati. Anzi ri-passa. «Se pensa che il British Museum all'inizio del secolo era finanziato interamente dalle lotterie, si rende conto che siamo soltanto al rilancio di una dinamica interrotta con l'introduzione del Council of Arts che veicola i finanziamenti pubblici alle iniziative di valore culturale». Philip Spedding, direttore di Arts & Business, società che monitora la partecipazione dei privati al mondo delle arti, intese nell'accezione più ampia, scava poco nella memoria per trovare le tracce di quanto torna ad accadere.

Il governo conservator-liberaldemocratico di David Cameron ha tagliato gli stanziamenti ai beni culturali in linea con una dinamica che ha colpito tutti i ministeri nell'era dell'austerità imposta da un disavanzo che oscilla fra il 9 e il 10% del Pil. Un trend avviato in realtà da Margaret Thatcher e che prosegue in modo sincopato assecondando i singhiozzi dell'economia. «In tutto il mondo, con la sola eccezione di Russia e Cina - continua Spedding - le manifestazioni culturali sono sempre più incoraggiate ad auto-finanziarsi. Lo Stato offre sgravi fiscali.

Nel Regno Unito le donazioni in danaro non subiscono imposizione, le sponsorizzazioni sono equiparate a spese di lavoro. È di prossima approvazione una misura che consentirà di dedurre dalla corporate tax una quota consistente del valore di un'opera che si regala alla nazione. Per evitare che sia venduta all'estero o che rimanga seppellita in collezioni private».

Il risultato è uno scenario a corrente alternata. Nel 2010-2011 l'investimento di privati nella cultura ha raggiunto 686 milioni di sterline, il 4% in più dell'anno precedente grazie ai denari di trust e fondazioni aumentati del 10%, a quelli di privati cittadini cresciuti del 6% e nonostante la caduta della cosiddetta "corporate philantropy", ovvero i fondi delle imprese. La crisi ha, infatti, convinto le società a ridurre del 7% gli investimenti in cultura negli ultimi dodici mesi. Un trend che si conferma: dal 2007 ad oggi il taglio delle aziende a iniziative di sponsorizzazione sfiora il 20 per cento. I conti della cultura non tornano chiusa com'è fra la stretta dello Stato, le incertezze delle corporations e la generosità del pubblico che ha generato 382 milioni di sterline nel 2011 permettendo, come abbiamo visto, al budget globale versato dai privati di crescere.

Il futuro però è nel mecenatismo - giustamente interessato - delle imprese. Stimolare soluzioni alternative e funzionali a tutti ci vuole fantasia. Così al fianco di operazioni classiche come quella di Credit Suisse che ha messo il suo nome sotto i disegni di Leonardo "andati a ruba" alla National Gallery di Londra, sbocciano proposte nuove. Fra quelle di maggior successo c'è la stagione teatrale di Travelex, la multinazionale dei cambiavalute che per volontà del suo fondatore, Lloyd Dorfman, sovvenziona di fatto il National Theatre.
«Gli spettacoli sotto il marchio Travelex - spiega Spedding - mettono in vendita biglietti per rappresentazioni al National a 12 sterline contro il prezzo medio di circa 40 pound. L'effetto è molteplice. Non solo si amplia il bacino di chi riceve l'offerta culturale, ma il ritorno per lo sponsor va molto oltre la presenza su una locandina, diviene sinonimo di un buon affare che si riverbera sul pubblico e si espande sui media».

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