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Questo articolo è stato pubblicato il 29 febbraio 2012 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 29 febbraio 2012 alle ore 09:11.

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C'è una frase, nel Manifesto per la cultura del Sole 24 Ore, che colpisce chiunque abbia visitato negli ultimi anni Parigi, Berlino o Londra: «Le nostre città che sono state laboratori viventi sembrano traumatizzate da un senso di inadeguatezza nell'interpretare le nuove sfide». Non si tratta solo degli investimenti pubblici o privati che quelle capitali hanno potuto e saputo fare nella cultura, si tratta di concepire le città come luoghi di bellezza e facili da usare per i visitatori. Ogni volta che si realizza un nuovo spazio urbano di cultura e di bellezza in Italia, la risposta dei cittadini e dei turisti è entusiastica. Penso al successo che riscuote a Roma lo spazio dell'Auditorium, cui è stato accostato il Maxxi, il museo progettato da Zaha Hadid. Peccato che nei paraggi non si riesca quasi mai a parcheggiare.

Turismo è coniugare bellezza con benessere. Ma c'è di più: turismo e manifattura sono complementi, non sostituti. Uno studio recente di Anna Maria Pinna del Crenos (Visit and buy. An empirical analysis on tourism and export) dimostra che i flussi turistici bilaterali alimentano un extra di esportazioni tra il 5% e il 9 % per alcune categorie di beni. L'analisi è stata svolta a un livello assai disaggregato, su circa 28 settori industriali e per gli arrivi turistici in 25 Paesi europei. Se raddoppiasse il numero di giapponesi che visitano il nostro Paese, le esportazioni italiane di prodotti in cuoio e pelle verso il Sol Levante potrebbero aumentare anche di 8 miliardi di yen all'anno, a parità di altre condizioni, dato che nel primo semestre 2011 erano di 39 miliardi (dati Ice). L'esplosione dei voli low cost e il benessere incipiente di milioni di individui in Asia e America Latina hanno favorito gli spostamenti e gli acquisti all'estero. Quali sono i prodotti che mostrano un maggior effetto del turismo sulle esportazioni? Non sorprendentemente, sono i cosiddetti beni "experienced", quelli per cui il turista testa la merce in loco: in estrema sintesi, moda, cibo, bevande, mobili, ceramica, vetro. Si tratta di una componente centrale del made in Italy. In uno studio di qualche tempo fa, Prometeia e il CsC stimavano il mercato potenziale mondiale della "dolce vita" in circa 110 miliardi di euro nel 2015, solo per la gamma medio-alta; molto di più se includiamo anche la gamma media. Quando i turisti rientrano a casa, hanno riportato con sé non solo l'esperienza dei luoghi e degli incontri, ma anche quella dei prodotti.

È importante comprendere che non parliamo di "effetto-immagine", bensì di stile di vita. Negli anni del boom dei nuovi ricchi nei Paesi emergenti, fino al 2007, bastava l'italian sounding, qualcosa che suonasse italiano a far vendere scarpe in Cina. Adesso non è più così, il consumatore è più accorto e cerca qualità. Per questo l'esperienza dei prodotti conta per sostenere le esportazioni. E per questo la qualità del turismo è un investimento anche per la manifattura. In questo senso si può interpretare, più che in termini di operazioni di pura propaganda commerciale, l'impegno recente di alcuni nostri affluenti industriali nella salvaguardia e nel recupero di capolavori dell'architettura e dell'arte, da Roma a Venezia.
Il turismo non cerca solo bellezza, chiede anche benessere e comodità. Servono investimenti pubblici e privati. Per gli investimenti privati, una chiave è la liberalizzazione dei servizi: più innovazione e l'ingresso di imprenditori giovani possono portare a più qualità nel turismo e di conseguenza favorire l'esperienza di nostri beni. Per il pubblico, in tempi di consolidamento fiscale, occorre ripensare i termini del nostro localismo. A un turista cinese di mezza età che cerca di sperimentare l'Italia non si può chiedere di trattenere la nozione del Sud del Lazio o del Cuneese. Non significa che quelle tradizioni non si possano sperimentare o esportare, ma nell'ambito di un marketing dell'Italia nel suo complesso. I fondi pubblici regionali aiuterebbero l'export locale più se favorissero il benessere negli spostamenti dei turisti nella regione, che non se finanziassero qualche mostra di salumi tipici all'estero. Le scelte pubbliche per la qualità dei luoghi e del turismo riguardano la spesa forse meno che non le regole: il coraggio di rendere pedonali aree più estese dei nostri centri storici, senza tutte le deroghe che vediamo oggi, servirebbe almeno quanto musei più belli e accoglienti.

smanzocchi@luiss.it

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