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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2012 alle ore 12:07.

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La municipalità di Berlino e il Governo federale finanziano il festival del cinema con 6,5 milioni di contributi pubblici, ai quali si aggiungono ogni anno i (cospicui) fondi messi a disposizione da sponsor privati per un ammontare di circa 1-1,5 milioni di euro.
Soldi investiti bene come dimostrano ora una serie di studi svolti da alcune agenzie di consulting. La McKinsey ha calcolato che il fisco tedesco si aggiudica grazie alla Berlinale 9 milioni di euro di entrate aggiuntive. Un'altra ricerca curata dalla Investitionsbank Berlin stima il giro d'affari generato dalla 62esima edizione del festival da poco conclusasi in Potsdamer Platz con l'assegnazione dell'Orso d'Oro ai fratelli Taviani, intorno agli 84 milioni di euro. Sempre secondo i dati della banca d'investimento inoltre, il visitatore del festival cinematografico, ma anche quello venuto in città per una mostra o un altro evento culturale, spende in media tre volte tanto rispetto a un normale turista. Ovvero tra i 230 e i 330 euro al giorno – spese alberghiere escluse.
Altro che "povera ma sexy", come amava un tempo titolarla il borgomastro socialdemocratico Klaus Wowereit. Berlino oggi è forse un po' meno "sexy", trasgressiva, spregiudicata e bohemièn rispetto al passato, ma in compenso decisamente più ricca. E questo sfruttando e promuovendo in modo mirato la sua fama di centro d'arte e di cultura e trasformando l'intera città in un marchio, in un nuovo brand efficace quanto persuasivo.

"Be Berlin" è lo slogan coniato nel 2010 per una vasta campagna di marketing ideata dall'amministrazione comunale insieme a una cinquantina di società private per promuovere in tutto il mondo il marchio di una capitale innovativa, aperta e tollerante. "Be open, be free, be Berlin" recita uno degli slogan della campagna costata complessivamente oltre 10 milioni di euro. Un altro esempio di public-private-partnership è quello dell'agenzia Berlin Partner, finanziata per metà dal comune e per l'altra metà da privati con l'obbiettivo di promuovere iniziative culturali di ampio richiamo. Grandi mostre come quella di Gerhard Richter attualmente allestita alla Nationalgalerie, "I volti del Rinascimento" al Bode Museum o la retrospettiva di Frida Kahlo al Martin Gropiu Bau l'anno scorso, non sono semplici eventi culturali, ma sempre più spesso fattori economici belli e buoni. In questi casi è molto facile raccogliere i fondi di sponsor privati, che ad esempio per il festival del cinema (l'Oreal) o per la Berlin Biennale (Bmw), stipulano cooperazioni pluriennali che garantiscono ai curatori e alle istituzioni culturali una solida base finanziaria. Senza l'impegno dei privati tuttavia molte iniziative non sarebbero più realizzabili come dimostra il caso eclatante della Neue Nationalgalerie, lo splendido padiglione per l'arte contemporanea progettato da Mies van der Rohe. Con i finanziamenti pubblici il prestigioso museo è in grado oggi di coprire a malapena solo le spese di gestione, il personale, il riscaldamento, l'officina di restauro. Tutte le mostre temporanee e le acquisizioni di nuove opere invece vengono finanziate dall'influente Associazione degli amici della Nationalgalerie e dai suoi mille soci (banchieri, commercianti, industriali) che nel museo pubblico hanno praticamente carta bianca su tutto.

Alcuni progetti però falliscono, come quello della cooperazione tra la Deutsche Bank e il Guggenheim. Dopo 15 anni di collaborazione e di eccellenti mostre allestite nella filiale berlinese del museo, l'istituto bancario tedesco ha deciso di porre fine all'esperimento. A profittare in termini d'immagine e reputazione delle mostre è sempre stato solo il Guggenheim ma non la banca che ha pur sempre finanziato interamente la cooperazione.

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