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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2012 alle ore 12:01.

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«Nel nome di Venezia, anche l'idea più stupida ha successo». La citazione provocatoria è dell'ex "doge" Gianni De Michelis, ma rovesciando in positivo il meccanismo si può postulare che la città lagunare possa essere il traino per un'idea intelligente. Così Venezia oggi è capofila e alfiere per la candidatura del Nordest italiano a Città europea della Cultura 2019. Un percorso lungo e complesso, che però può incidere in maniera biunivoca sul rapporto tra la città e quell'hinterland che nel mondo è indicato come "Venetian area": da Verona a Trieste, da Bolzano a Rovigo. Da un lato Venezia può cogliere l'occasione per superare l'aureo isolamento che spesso ha caratterizzato le scelte culturali del passato; dall'altro un territorio ampio e complesso come il Nordest può godere del richiamo mondiale della città-simbolo.

«La nostra proposta riassume le molteplici identità in una compattezza di intenti», sottolinea il direttore di candidatura Maurizio Cecconi. Perché il progetto fa tesoro delle migliori esperienze europee «enfatizzando il ruolo di Venezia, ma facendone il perno di un sistema territoriale più ampio – chiarisce il manager culturale –. Abbiamo una straordinaria occasione per rendere contemporanee le relazioni storiche della città con "le terraferme" che la circondano». Ci sono però due nodi cruciali in questo progetto di candidatura: l'intento dichiarato di sviluppare in ogni caso la sintesi avviata, a prescindere dall'assegnazione, e la presa di distanza da ogni approccio agiografico che ripeta esperienze già viste.
Se dunque Venezia supera la propria autoreferenzialità, la candidatura intende generare occasioni di apertura. In rapporto con i progetti in fase di sviluppo nella prima terraferma: l'intervento sul museo archeologico di Altino finanziato da Ministero e Regione Veneto; M9, il nuovo polo museale del Novecento voluto a Mestre dalla Fondazione di Venezia; il piano di recupero di Forte Marghera avviato dal Comune. «È un ripensamento nel cuore di una galassia che fino ad oggi era poco comunicante, senza perdere il nucleo di attrattività del centro storico», aggiunge Cecconi. Il budget "centrale" per la candidatura è contenuto sotto il mezzo milione di euro, perché il progetto «ha come mission la costruzione di una identità unitaria per progetti che le singole aree o città portano avanti con investimenti diretti».

L'obiettivo è chiaro: fare massa critica culturale come volano di crescita economica e sviluppo sociale. La Fondazione Nordest aveva stimato come effetto un plus di 4 milioni di turisti, constatando da un'indagine tra esponenti della classe dirigente della macroaerea anche un'alta aspettativa (83% degli intervistati) per l'attrazione di talenti internazionali. E secondo una valutazione potenziale, emersa da una ricerca di Adacta e Nordesteuropa, il progetto di Capitale della cultura potrebbe mobilitare risorse e investimenti tra i 42 e gli 89 milioni di euro (in funzione della dimensione di azioni).
Venezia, peraltro, è concentrata sulla riorganizzazione dell'offerta. «Abbiamo costituito la Fondazione dei Musei civici – riferisce il sindaco Giorgio Orsoni – che unifica 12 strutture con un budget da 20 milioni, la cui direzione è stata affidata a Gabriella Belli (ex Mart Rovereto, ndr) con l'obiettivo di rinnovare la proposta». Questo si inserisce nel rilancio dell'arte moderna e contemporanea: da Palazzo Grassi e Punta della dogana all'eccellenza della Guggenheim, dal M9 a Mestre alle Fondazioni (Cini, Levi, Prada). Senza dimenticare il ruolo cruciale della Biennale sul contemporaneo e della Fenice nella lirica (40 milioni di budget). La cultura è strategica in relazione al turismo che, in laguna, è "industria pesante" da 24 milioni di presenze. «Una grande risorsa per la città – chiosa Orsoni – che va equilibrata con le esigenze di chi ci vive. Anche se non ha senso un atteggiamento dirigista sul piano culturale, soprattutto a Venezia che rimane un bene dell'umanità».

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