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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2013 alle ore 07:28.
La data di inizio del Conclave diventa il "caso" politico che investe il Sacro Collegio nelle riunioni plenarie, le Congregazioni generali. La fissazione dell'ingresso nella Cappella Sistina era praticamente data per scontata per ieri, e dopo il Motu Proprio di Benedetto XVI era atteso un anticipo consistente rispetto al 15 marzo. Ieri sera regnava ancora l'incertezza.
«Mi sembra, per quella che è la mia percezione, un tema aperto» ha detto il portavoce padre Lombardi: «La congregazione dei cardinali vuole capire di quanto tempo può avere bisogno per una adeguata preparazione alla decisione così importante del Conclave, senza affrettare le cose». Dello stesso parere sono i cardinali americani, che in questi giorni stanno tenendo la scena con incontri quotidiani sotto le telecamere al North American College: «Dobbiamo avere il tempo necessario» ha detto il cardinale di Boston, il "papabile" Sean O' Malley, «la legislazione vigente ci dà al massimo venti giorni di tempo e l'esperienza mostra che di solito non sono necessari, ma la sensazione è che i cardinali vogliono avere abbastanza tempo. L'importante è avere discussioni previe in modo che quando si entra in Conclave abbiamo le idee piuttosto chiare su chi votare, altrimenti il Conclave potrebbe protrarsi. Meglio discutere prima». E il collega Daniel Di Nardo (Houston, Texas) concorda: «Nessuno vuole andare di fretta».
La questione è centrale: infatti prima ancora che Benedetto XVI lasciasse ufficialmente il 28 febbraio dei segnali chiari contro l'anticipo erano arrivati dagli Usa (Timothy Dolan, di New York, che parla oggi di nuovo), dalla Francia (il cardinale Andrè Vingt-Tois di Parigi), e dalla Germania (uno dei quattro cardinali non ancora arrivati è Karl Lehman). Quello che i cardinali delle diocesi non vogliono è avere più ristretti margini di manovra rispetto ai colleghi di Curia, che invece spingono (e lo si è visto con il Motu Proprio) per accelerare i tempi e «magari sbarrare la strada a un outsider» osserva un monsignore d'Oltretevere.
Per padre Lombardi «non è necessario che tutti i cardinali elettori siano presenti a Roma per stabilire la data di inizio del Conclave», e la norma in effetti lascia qualche spazio ad interpretazioni, visto che è già noto che due dei 117 elettori non saranno presenti. Entro oggi, al massimo domani, saranno tutti in Vaticano, e a quel punto una decisione sarà presa: la previsione sembra spostarsi un pò in avanti rispetto all'11 marzo, salvo sorprese.
Ieri nella terza congregazione si è discusso della riforma della Curia e di un maggior coordinamento tra i dicasteri, ma anche delle relazioni con le conferenze espiscopali. Del rapporto su Vatileaks, dopo le richieste di due giorni fa, ieri è stato concordato che chi vuole notizie le chieda direttamente ai tre cardinali "inquirenti" (Heranz, Tomko e De Giorgi), i quali daranno informazioni a loro discrezione ma non dovrebbero scendere troppo nel dettaglio, come già emerso lunedì. «Penso che sarà condivisa un'importante informazione che ci aiuterà a prendere le nostre decisioni, siamo fiduciosi» ha detto O'Malley - che appartiene all'ordine francescano e indossa sempre il saio da cappuccino - e Di Nardo ha aggiunto che i porporati «in generale vogliono sapere tutto ciò che è possibile sapere sulla governance della Chiesa e della Curia».
E su questi temi è intervenuto anche il cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Manh, arcivescovo di Ho Chi Min City (ancora non arrivato): «Il nuovo Papa dovrà toccare i cuori di tutti gli uomini, ma anche preoccuparsi di più della amministrazione interna della Chiesa». E un cardinale esperto come Giovanni Lajolo ha detto che quella del prossimo pontefice sarà «una scelta molto difficile». In attesa di ospitare, per la venticinquesima volta, i cardinali del Sacro Collegio, ieri è stata chiusa al pubblico «fino a data da destinarsi» la Cappella Sistina.
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