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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 06:45.

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L'esperto Usa: «Così manipolammo il caso Moro» - Ascolta l'audio

A distanza di molti anni parla Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento Usa nel 1978 in materia di terrorismo, componente del comitato di crisi voluto da Francesco Cossiga, allora ministro dell'Interno, durante il rapimento e poi l'uccisione di Aldo Moro da parte delle Br.

Ieri, a Mix24, Pieczenick ha rotto il silenzio e ha risposto per mezz'ora alle domande di Giovanni Minoli. Ha parlato di una «manipolazione strategica al fine di stabilizzare la situazione dell'Italia» in quel periodo. Racconta di aver temuto che Moro venisse alla fine rilasciato: «Mi aspettavo che le Br si rendessero conto dell'errore che stavano commettendo - con il rapimento - e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano - ha spiegato l'ex consulente Usa - Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro». La procura di Roma ha disposto l'acquisizione dell'intervista. Lo ha deciso il pm Luca Palamara, titolare dell'ultimo procedimenti aperto sul sequestro e l'omicidio dello statista Dc. Il magistrato intende sentire il consulente americano, potrebbe essere aperta una procedura di rogatoria internazionale.

Nel comitato di crisi per il rapimento Moro, Pieczenik sedeva insieme al criminologo Franco Ferracuti, l'esperto in difesa e sicurezza Stefano Silvestri, una grafologa e il magistrato renato Squillante. «In quei giorni quotidianamente, anche più volte, parlavo con Cossiga» dice il consulente inviato a Roma dall'allora segretario di Stato americano Cyrus Vance. «Abbiamo passato insieme più di 40 giorni». E, aggiunge, «Cossiga capì subito che il problema non era solo legato alla "persona" Moro - ma che doveva affrontare una crisi dello Stato, che avrebbe dovuto "stabilizzare" l'Italia». Di più: «A un certo punto, per poter incidere in una situazione di crisi, sono stato costretto a sminuire la posizione e il valore dell'ostaggio, a Cossiga ho suggerito di screditare la posta in gioco» fino a suggerirgli, rivela, di dire che quello delle lettere - le ultime soprattutto - non era il vero Aldo Moro. Così come bocciò l'iniziativa del Vaticano di raccogliere una cospicua somma di denaro, pare di dieci miliardi di lire, per pagare un riscatto. «In quel momento stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate rosse e il processo di destabilizzazione dell'Italia». Chiede Minoli: «Sostanzialmente, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire?». «Per quanto mi riguarda, la cosa era evidente - risponde il consulente - Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell'Italia».

Incalzato su Bettino Craxi, che tentò in modo convinto di aprire una trattativa, Pieczenick si fa scappare una rivelazione inquietante che conferma molte ipotesi formulate su Tangentopoli e il ruolo americano che favorì la vicenda di Mani Pulite. «Non mi preoccupai sul possibile ruolo di Craxi, era stato già neutralizzato, gli stavamo dietro da tempo. Avevamo il coltello dalla parte del manico, sapevamo qualcosa su di lui. Craxi era comunque compromesso, si era compromesso da solo». La procura di Roma intende acquisire anche un'intervista all'attrice Piera Degli Esposti, realizzata dalla giornalista del Tg5 Claudia Marchionni, in cui l'attrice racconta di essere stata in via Caetani dalle 11.30 all'una e mezza del 9 maggio 1978. Era rimasta appoggiata, racconta, quasi sempre alla Renault dov'era il cadavere di Moro, senza accorgersene, ma aggiunge anche che in quelle ore non arrivò nessuno.

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