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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2014 alle ore 09:19.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 09:37.

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L'anno in corso si sta rivelando, dopo la fine della Guerra fredda, il più tormentato da sanguinose violenze e da aggressioni spietate. E forse anche, per la prima volta, è presente in siffatto marasma il coinvolgimento di singoli Stati, benché estranei e al di fuori dei conflitti diretti. Insomma, la globalizzazione sta vieppiù invadendo di incertezze, paure, e lotte la politica mondiale, il cui ordine è ormai minacciato, quando non completamente scalzato, da aggressive strategie di dominio. Dalle recenti cronache che hanno coinvolto Russia, Crimea e Ucraina, nonché Iran, Siria, Israele e Palestina, pur trascurando Cina e Giappone, la politica internazionale è entrata a gamba tesa in quelle nazionali e su queste tende a scaricare molti dei suoi aspetti deleteri. Basti qui pensare alle tragedie dei migranti e alle incapacità, o quasi impossibilità di soluzione dei loro problemi, che toccano anche il nostro Paese da vicino.

La verità è che, assieme all'ordine mondiale, è saltata qualunque forma, ancorché rudimentale, di governance globale. In sostanza, esiste una sola istituzione internazionale con un potere forte: il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Se i cinque membri permanenti sono d'accordo, possono infatti imporre la loro volontà in qualunque parte del mondo. Ma sono ancora troppi gli Stati sovrani dotati di armamenti letali, che sfuggono ai controlli sovranazionali.

E fu solo la Guerra fredda a costituire un sistema stabile basato sulla minaccia di distruzione reciproca delle due superpotenze, a ciascuna delle quali gli altri Paesi si erano aggregati. Con la fine della Guerra fredda e il collasso dell'Unione Sovietica, le democrazie liberali parvero avere il sopravvento, in un nuovo e definitivo ordine mondiale, garantito dalla leadership degli Stati Uniti. Lo smembramento dell'Unione Sovietica - con l'abbandono anche simbolico dell'ideologia staliniana - e la riunificazione della Germania parvero aver dato una soluzione stabile a tutte le maggiori controverse questioni geopolitiche. Il capitalismo e la democrazia liberale, di matrice anglosassone, avevano in qualche modo indicato il futuro con indubbi effetti pervasivi anche nell'Unione europea e nella politica italiana.

La nuova ideologia delle democrazie liberali pareva avere un dominio generalizzato, sicché la fine della Guerra fredda fu presa a simbolo della «fine della Storia» da Francis Fukuyama, sul presupposto che la democrazia liberale avrebbe potuto costituire «il punto d'arrivo dell'evoluzione ideologica dell'umanità».
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la teoria della «fine della Storia» ha un nobilissimo antecedente in Hegel. Il grande filosofo era presente alla battaglia di Jena nel 1806, nella quale l'esercito francese distrusse l'armata prussiana, decretando con essa, secondo Hegel, «la fine della Storia», poiché solo gli Stati che avessero adottato i principi e le tecniche della Francia rivoluzionaria, avrebbero potuto competere e sopravvivere.

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