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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 08 agosto 2014 alle ore 09:05.

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In tale contesto, i paesi interessati a prendere in prestito ingenti quantità di denaro dall'estero dovrebbero potenziare le loro istituzioni così da rendere attendibile la loro promessa di restituirle. Nel complesso, l'esperienza conferma questo metodo. In effetti, negli ultimi anni l'enorme espansione dell'emissione di debito interno nei mercati emergenti ha contribuito a ridurre le tensioni di mercato (anche se la continua dipendenza delle grandi imprese dal debito estero lascia tuttora vulnerabili molti paesi).

L'indebitamento interno, in ogni caso, non è una panacea. Credere che qualsiasi paese possa emettere debito nella propria valuta ed essere per questo esente da rischi a patto che il tasso di cambio resti flessibile è proprio da ingenui. Prima di tutto, infatti, sussiste ancora il rischio di inflazione, specialmente per i paesi con istituzioni fiscali deboli e la zavorra di un pesante indebitamento.

Nondimeno, l'ultimo trauma debitorio dell'Argentina dimostra che il sistema globale di risoluzione dei prestiti del debito sovrano necessita disperatamente di una sistemata. È assolutamente indispensabile sviluppare al meglio i mercati del debito interno e, forse, cambiare radicalmente sistema sposando le linee guida proposte dall'Fmi.

(Traduzione di Anna Bissanti )
L'autore, ex capo economista dell'Fmi, è professore di Economia e Politica pubblica ad Harvard.
Project Syndicate, 2014

LE TAPPE
Secondo default in 13 anni

L'Argentina è in default per la seconda volta in 13 anni. A mezzanotte del 30 luglio è scaduto il termine concesso al governo di Buones Aires per pagare gli interessi a un gruppo ristretto di investitori Usa che hanno acquistato i titoli di stato del paese sudamericano. La cifra che l'Argentina doveva versare agli investitori statunitensi entro il 30 luglio era di 539 milioni di dollari per gli interessi sul debito. Ma Buenos Aires doveva contemporaneamente risarcire anche 1,3 miliardi di dollari a creditori che avevano investito nei bond argentini nel 2001, all'epoca dell'ultima bancarotta, e hanno rifiutato di essere ripagati con nuovi titoli del debito nel 2005 e nel 2010. Il debito argentino nell'indice di JP Morgan dei mercati emergenti rappresenta oggi poco più dell'1 per cento.

La prima moratoria nel 2001-2002
Il primo default argentino ha avuto inizio nel 2001. A soli due giorni dal Natale, il Governo sospende il rimborso dei capitali in scadenza dichiarando la moratoria su quasi 100 miliardi di dollari di debito estero. Nel 2005 e 2010 viene orchestrata una ristrutturazione del debito con perdite fino al 70% per gli investitori. Il 7% di questi non accetta. Tra di loro due hedge americani - Nml Capital di Paul Singer e Aurelius - che decidono di sfidare nei tribunali americani l'Argentina, chiedendo il pagamento per intero del valore dei loro bond (1,3 miliardi oggi saliti a 1,5 miliardi con gli interessi). La magistratura Usa, fino alla Corte Suprema, ha dato loro ragione. In Italia, i risparmiatori coinvolti in questo primo default sono stati 450mila, con in portafoglio titoli per 14,5 miliardi dollari.

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