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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2014 alle ore 09:14.
L'ultima modifica è del 07 settembre 2014 alle ore 09:04.

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Gli imprenditori dicono spesso che il divario sempre più ampio dell'istruzione - la disparità fra ciò che i giovani imparano e le competenze che il mercato del lavoro richiede - è uno dei principali fattori di elevata disoccupazione e crescita lenta per molti Paesi. I governi sembrano convinti che il modo migliore per colmarlo sia aumentare il numero di studenti che si laureano in materie scientifiche, le materie Stem secondo l'acronimo inglese, ovvero scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Hanno ragione?

La risposta lapidaria è no. Infatti dire che l'istruzione inadeguata sarebbe la causa della scarsa performance economica è un'affermazione fondata su due argomentazioni a dir poco deboli.

La prima argomentazione è che la mancanza di una forza lavoro qualificata starebbe impedendo alle aziende di investire in impianti più avanzati. Ma di solito non è così che lo sviluppo economico funziona. Al contrario, le aziende cominciano a investire e o i lavoratori colgono l'opportunità di ambire a salari più elevati acquisendo (a loro spese) le competenze richieste o è l'azienda stessa che forma i suoi dipendenti e quelli futuri.
La seconda argomentazione è che per gli Usa e altri Paesi avanzati sarebbe sempre più difficile stare al passo con il vantaggio che i Paesi in via di sviluppo hanno acquisito grazie al massiccio investimento in impianti avanzati, a un'istruzione superiore mirata e alla formazione professionale. Ma, di nuovo, questo contraddice le tradizionali dinamiche commerciali secondo le quali il successo di un Paese non va a discapito di un altro.
In teoria, se diversi Paesi passassero contemporaneamente a un'istruzione secondaria e superiore orientata sulle materie scientifiche - con i forti incrementi di produttività correlati - l'economia che non ha fatto quello sforzo potrebbe veder diminuita la propria competitività, certo, ma questo scenario è molto improbabile, perlomeno nel futuro immediato.

Tanto è vero che il proliferare di università altamente specializzate in Europa non è riuscito a stimolare la crescita economica o l'occupazione. E la conversione di università generaliste in istituti specializzati in scienze e tecnologia in Unione Sovietica e nella Cina comunista, non è servita a scongiurare il disastro economico di quelle economie (le migliori università cinesi offrono un programma biennale che ricalca la struttura delle università americane di arti liberali).

Ma l'idea di un'istruzione basata sulle materie scientifiche è ancora più infondata perché tratta l'economia come un'equazione. Secondo questa logica, per creare occupazione le persone vanno incanalate in opportunità identificabili e crescita economica significa potenziare le riserve di capitale umano o fisico sfruttando il progresso scientifico, una visione cupa dell'economia moderna e una prospettiva deprimente per il futuro.

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