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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2014 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 16 settembre 2014 alle ore 07:19.

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Consumata da anni di tagli, rigore, riforme, flussi migratori senza fine, questa Europa piace sempre meno alla sua gente.
Ormai non passa elezione nazionale senza che i partiti nazionalisti, xenofobi, euroscettici e anti-euro vedano ingrossare le loro file. Che siano vecchi o appena debuttanti sulla scena politica, poco importa: il loro messaggio involutivo risulta travolgente tra minoranze che poi diventano anche maggioranze. È successo con il Front National di Marine Le Pen in Francia, con l'Ukip di Nigel Farage in Gran Bretagna, con il Partito del Popolo danese in Danimarca, tutti arrivati primi nei rispettivi paesi alle europee di maggio.

Allora c'era stato chi minimizzava: voto in libertà, diverso, protestatario, meno ponderato e responsabile di quello che si esprime nelle consultazioni nazionali. Sbagliato. L'onda non si arresta. Aumenta.
A furia di sdrammatizzare per scelta deliberata, come se negare l'evidenza bastasse a cambiare la realtà, a furia di rifiutarsi di affrontare seriamente malessere e disagi sempre più profondi dei cittadini, l'Europa si fragilizza, trasformata nell'immaginario di molti nel malvagio grande Moloch da demonizzare e fuggire. Peggio, sono le fondamenta stesse della democrazia a svuotarsi pericolosamente di consenso popolare, che è il suo marchio di fabbrica obbligato.

Ancor più che nei paesi del Sud (che pure non se sono affatto esenti, anzi) tartassati da anni di sacrifici, tagli di reddito e sicurezze sociali in nome di un rigore europeo implacabile, è nel Nord ricco e protetto da un ampia rete di garanzie intonse che allignano i semi di una rivolta molto più metodica e convinta. Intrisa di miopia ed egoismo. Ma poco importa.
La conferma è venuta nel week-end da Svezia e Germania. La prima, tassi di crescita vicini al 2%, disoccupati al 7, redditi pro capite ai primi posti nella classifica Ue, deficit all'1,9%, debito al 40%, in breve un mostro di virtù economico-sociali persino rispetto agli standard tedeschi. Eppure a Stoccolma il Governo del rigore di Fredrik Reinfeldt (23%) è stato cacciato dopo 8 anni al potere, i socialdemocratici hanno vinto (31%) con il peggior risultato della loro storia e non abbastanza per avere la maggioranza. Chi ha davvero trionfato sono gli Svedesi democratici, il partito xenofobo che in 4 anni ha molto più che raddoppiato i voti passando da 5,7 al 13%.
Le regionali in Turingia e Brandeburgo non hanno punito Angela Merkel ma hanno eroso il suo fianco destro premiando con oltre il 10% Alternativa per la Germania, il partito nazionalista anti-euro che non cessa di irrobustirsi.

In entrambi i paesi non sono stati, come regolarmente in passato, i partiti tradizionali di opposizione, la sinistra in questo caso, a fare piazza pulita del voto dello scontento ma populisti e forze anti-sistema che avanzano pescando in tutti i bacini di voto. Il fenomeno non è nuovo. Quel che è nuovo è che appare inarrestabile dovunque.

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