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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2014 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 29 settembre 2014 alle ore 08:09.

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E allora ecco che le storie umane ricevono una giustizia su misura. Era il lontano 1994 quando i magistrati di Cassazione, trovandosi a fare i conti con il dolore della perdita dell'amato in modo tragico, decisero di estender il diritto al «risarcimento da fatto illecito, con riguardo sia al danno morale che patrimoniale» anche al convivente more uxorio, una volta provata la «relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale» (principi ben riepilogati nella sentenza di Cassazione 23725/2008).
Da allora l'estensione giudiziaria di tutela alle coppie e alle famiglie di fatto, con rilievo anche all'interesse e al benessere di eventuali figli, si può dire abbia galoppato, nel tentativo di porre rimedi garantisti tutte le volte che i due, per tutta una serie di ragioni, non "vissero felici e contenti". Perché il punto è ovviamente questo, capire il da farsi quando uno dei due non può o non vuole più continuare lo scambio emotivo/patrimoniale. È allora che casa e soldi diventano motivo di accesa discordia, proprio come succede per separati e divorziati, in verità. Di sicuro chi convive, oggi ha modo di salvaguardare il suo diritto di abitazione; vuoi perché - anche in assenza di figli - si subentra nel contratto di locazione stipulato tra l'ente pubblico e il compagno morto (Cassazione 3548/2013); vuoi perché non si può buttar fuori casa su due piedi un partner - il proprio o quello del parente scomparso - dal momento che la convivenza more uxorio determina una detenzione qualificata dell'immobile (Cassazione 7/2014 e 7214/2013).
Quanto ai soldi destinati al progetto di vita insieme, eventuali contribuzioni di un convivente all'altro «vanno intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo», certo non "blindato" come il matrimonio, ma comunque improntato a collaborazione e assistenza morale e materiale (da ultimo Cassazione 1277/2014).
I contratti di convivenza
Il silenzio legislativo però è particolarmente assordante in relazione alla regolamentazione delle unioni omosessuali a fronte delle numerose sollecitazioni arrivate da Cassazione e Corte costituzionale - spesso costrette ad affermare i propri limiti di intervento - ogni volta che si sono trovate a discutere di nozze gay.
Al momento l'unica prospettiva di visibilità legale per tutti, almeno sotto il profilo materiale, sembrerebbe quella dei contratti di convivenza, lanciati dai notai italiani lo scorso anno. Sono accordi, che devono risultare da apposito atto scritto, con cui la coppia regolamenta l'assetto patrimoniale e alcuni limitati aspetti inerenti i rapporti personali. Un'iniziativa che ha soddisfatto il Notariato almeno per quanto riguarda la sensibilizzazione sul tema dell'importanza della prevenzione di conflitti post rottura, ma che ha sorpreso per la resistenza all'impegno soprattutto delle giovani coppie. Al momento di sottoscrivere qualcosa di vincolante, i conviventi, d'altronde restii agli oneri e ai rischi del matrimonio, si tirano indietro. «A quanto pare - spiega Domenico Cambareri, consigliere nazionale notariato con delega alla comunicazione - la stessa società che reclama tutela non è pronta psicologicamente ad assumersene la responsabilità».

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