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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2014 alle ore 08:36.
L'ultima modifica è del 15 novembre 2014 alle ore 10:24.

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Visitare oggi la Reggia di Venaria, alle porte di Torino, dopo averla vista prima del restauro, provoca un misto di incanto e di rabbia. La prima sensazione è quella di trovarsi di fronte quasi un miracolo, perché miracoloso è stato il recupero di un gioiello deturpato e offeso dagli uomini prima ancora che dallo scorrere del tempo. E ancora più straordinario è che questo sia stato possibile in un Paese abituato a trascurare, quando addirittura a dimenticare, i propri tesori. Dunque, si può fare, anche in Italia. Ma viene subito da chiedersi: perché solo qui? In quanti altri luoghi del Paese si potrebbe replicare il modello-Venaria? A cominciare da Pompei, dove comunque qualcosa si muove.

Ma qual è il modello-Venaria? Cosa ha permesso allo Stato e alla Regione Piemonte di trasformare in pochi anni un vecchio rudere adibito a caserma per un paio di secoli, nella prima destinazione turistica del Piemonte, quinta in Italia dopo Colosseo, Uffizi, Venezia e Pompei?

Raccontano che durante campagna elettorale per le Politiche del '96, Walter Veltroni, nella cittadina piemontese per un comizio, lanciò l'idea del recupero della Reggia e pochi giorni dopo, in tv, s'impegnò a realizzarla se fosse andato al Governo. Il governatore Ghigo, dell'area politica opposta, non riuscì a intervenire in trasmissione, ma il giorno dopo contattò il futuro ministro dei Beni culturali e si impegnò a destinare al recupero della Reggia di caccia dei Savoia tutti i fondi europei destinati alla Regione per il periodo di programmazione allora in corso. L'impegno bipartisan (cosa rara per vicende che non abbiano al centro spartizioni di potere) e la concentrazione di un ricco pacchetto di fondi Ue (che ne mobilitano altrettanti nazionali) ha fatto sì che il recupero partisse con una copertura solida e non subisse intoppi. «Vantiamo un primato non scontato: in quindici anni di gare e bandi non abbiamo avuto neppure un ricorso al Tar» scherza ma non troppo Alberto Vanelli, direttore del consorzio che gestisce la Reggia e all'epoca direttore regionale dei beni culturali.

E dire che le altre Province piemontesi e i Comuni, di fronte alla prospettiva di vedere dirottati sulla Reggia tutti i finanziamenti europei dei setti anni successivi, non l'avevano presa bene. Invece la cosa ha funzionato e funziona ancora oggi. Anche grazie alla continuità: Vanelli - fanno notare al dipartimento Coesione e sviluppo - da quindici anni ha fatto di Venaria la sua missione. La stessa continuità che servirebbe, per esempio, a Pompei. Oggi la Reggia costa circa 15 milioni di euro all'anno e ne incassa 7,5 tra biglietti, eventi, mostre, concerti, sfilate e persino matrimoni.

Nella storia di questo recupero non affascina solo il confronto tra prima e dopo. Colpisce soprattutto la capacità di utilizzare e bene tutte le risorse a disposizione, in particolare i fondi europei, la cui vocazione "strutturale" ha trovato qui più che altrove una forza di espressione che incanta ormai quasi un milione di visitatori l'anno. Un volano, con effetti positivi per l'economia del capoluogo piemontese di cui Venaria è quasi un quartiere. C'è, in questa storia, una lezione importante sull'utilizzo dei fondi europei, di cui l'Italia è secondo beneficiario ma peggiore utilizzatore (dopo la Romania). Una lezione di cui Governo e Regioni - impegnati a scrivere i programmi operativi 2014-2020 - potrebbero fare utilmente tesoro. Anziché disperdere le risorse in centinaia di micro interventi, di cui spesso è impossibile la gestione e ancor più valutare l'efficacia, varrebbe la pena fare lo sforzo di individuare poche decine di interventi e portarli sino in fondo, per dare alla politica di coesione non solo visibilità ma anche il senso vero che non è distribuire denaro a pioggia quanto favorire sviluppo e crescita "strutturali", in linea con gli obiettivi definiti insieme da tutti gli Stati membri, Italia compresa.
«Il problema italiano non è avere più soldi da spendere» ha detto l'ex presidente della Commissione, Barroso, «ma riuscire a spendere bene quelli che riceve». Non è proprio tutta la verità, ma ci va molto vicino.

@chigiu

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SPESE E RICADUTE
200 milioni
Il costo complessivo del restauro

Per i lavori di recupero e restauro sono stati spesi 200 milioni di euro tra 1997 e 2013.
110 milioni
Il contributo dei fondi strutturali europei

Più della metà delle risorse impiegate per il restauro della struttura e dei giardini arriva dall'Europa attraverso il Fesr, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale.
700 posti di lavoro
Arginata la caduta dell'occupazione

In un territorio caratterizzato da forte deindustrializzazione, si stima che, tra dipendenti, stagionali, outsourcing e indotto, i posti di lavoro attivati grazie alle visite turistiche della Reggia siano circa 700. L'apertura della struttura, che conta ogni anno circa 900mila presenze, ha fatto crescere anche l'indotto: nuovo lavoro per alberghi e ristoranti del territorio circostante.

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