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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2014 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 27 novembre 2014 alle ore 08:19.

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Ben più rilevanti le dimostrazioni della propensione ai rapporti “a rischio di incesto” di chi abita quel mondo date invece dal numero tre dell'azienda (dopo Nando Pasquali e il suo factotum/braccio destro Vinicio Vigilante). Ci riferiamo a Francesco Sperandini, dall'ottobre 2013 responsabile della Divisione operativa del Gse, protagonista di due episodi particolarmente emblematici. Il primo della commistione tra mondo dell'energia e mondo della politica (vedi box sulla cena di finanziamento al Pd del 17 luglio 2013). Il secondo dei potenziali conflitti d'interesse personale di chi entra ed esce dal Gse (vedi storia su Sienergy Project).

Ma veniamo alle attività del quarto maggiore gruppo italiano. Le più significative sono due: la gestione dei meccanismi d'incentivazione dell'energia prodotta da fonti rinnovabili e l'acquisto di energia elettrica per il cosiddetto mercato “di maggior tutela”. La prima è svolta dalla capogruppo. E sulla sua opportunità con noi lo stesso Sperandini si è espresso senza mezzi termini: «Da tempo dico pubblicamente che gli incentivi sono una distorsione e che (…) sarebbe bene arrivare a una convinzione del fatto che devono essere transitori. Perché il settore deve arrivare al più presto possibile alla soluzione del segnale di prezzo. Lo dicono le regole del mercato e tutti i testi di economia», ci spiega. Poi aggiunge: «Se uno non ha una preparazione economica, come era all'interno del Gse prima che arrivassi io, è possibile che queste cose non le dica. Ma non me ne meraviglio, perché fa piacere a tutti essere l'amministratore delegato di una società che per fatturato è il quarto gruppo in Italia».
La seconda attività principale del gruppo Gse è quella svolta dall'Acquirente Unico. Un classico delle partecipazioni statali, l'Au è nato con una funzione che sarebbe dovuta essere temporanea – quella di garantire la transizione verso un mercato elettrico liberalizzato gestendo gli acquisti di energia per i consumatori che non hanno scelto un distributore – ma, anziché rimpicciolirsi, col tempo è addirittura cresciuto. Lo dimostrano i numeri: nel 2007 quando i terawatt/ora di energia comprata dall'Au erano oltre 120, il costo del personale era di poco più di 4 milioni e mezzo. Nel 2013, con poco più di 70 terawatt/ora acquistati, il costo del personale si è più che raddoppiato.
Una delle giustificazioni? L'Au si è trovato un nuovo ruolo: quello di sportello dei consumatori. Con il suo relativo call center. E dove si è pensato di collocarlo? In Albania, o in una qualche zona dell'entroterra di una provincia sottoccupata del Mezzogiorno? No. Ai margini dei Parioli, di fronte al quartier generale di viale Pilsudski. Forte la tentazione di definirlo il call center più snob d'Italia.

Ma il problema dell'Au, secondo gli addetti ai lavori, non è certo questo. Sta più alla radice. E di questo abbiamo parlato con il suo amministratore delegato Paolo Vigevano (vedi box).
Fabio Cantatore, osservatore esterno della società di consulenza Boston consulting group e uno dei massimi esperti del settore, esprime forti dubbi: «Parliamo di una struttura creata in un contesto di mercato differente da quello attuale di cui si è a mio avviso perso il razionale», ci spiega. «In alcuni aspetti sembra sostituirsi all'organo di vigilanza del settore, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas; in altri, agli operatori. Ma in entrambi i casi è un soggetto la cui esistenza mi pare faticosa da giustificare. Anche perché impedisce il completamento del processo di liberalizzazione, essendo un ibrido che rende il mercato disefficiente».
In pratica, secondo Cantatore se ne potrebbe fare tranquillamente a meno. Anche senza lasciare il settore senza tutela o tariffe sociali. A queste potrebbe pensare infatti l'Autorità.

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