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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2014 alle ore 06:39.
L'ultima modifica è del 02 dicembre 2014 alle ore 07:07.

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L’andamento dei grandi flussi migratori è ovviamente sensibile a quello della situazione economica e non stupisce quindi che dal rapporto presentato ieri dall’Ocse, in occasione del Forum di due giorni al quale partecipano i ministri dei 34 Paesi membri dell’organizzazione, emerga che la Germania sia diventata la principale destinazione europea, con 400mila ingressi nel 2012 (l’ultimo anno per il quale ci sono rilevazioni statistiche precise per tutti i Paesi Ocse) e 465mila l’anno scorso, portando il totale della popolazione immigrata a quota 16,3 milioni, pari al 20% della popolazione totale.
L’incremento registrato nel 2012 è superiore del 38% a quello dell’anno precedente e addirittura del 72% rispetto al 2007. Dei Paesi Ocse, solo gli Stati Uniti precedono la Germania, con un milione di ingressi nel 2012 e 990mila l’anno scorso, in calo rispettivamente del 3% e del 4% rispetto agli anni precedenti. Anche se la flessione del numero di nuovi immigrati legali permanenti nell’Unione europea provenienti da Paesi extra-Ue (950mila nel 2012 rispetto a 1,4 milioni nel 2007) fa sì che per la prima volta questa cifra sia inferiore agli ingressi negli Stati Uniti.

Da un punto di vista generale, nel 2013 si è registrata una lieve ripresa dell’immigrazione nell’area Ocse (dell’1,1%) – dovuta evidentemente all’altrettanto lieve ripresa economica – dopo i cali che hanno caratterizzato gli anni della crisi, con una caduta dai 4,47 milioni di ingressi nel 2007 ai 3,78 milioni del 2012.
Quasi metà di questa diminuzione è imputabile alla sola Italia, dove il numero di nuovi immigrati permanenti è sceso da 572mila del 2007 a 258mila del 2012, con una flessione del 19% tra 2012 e 2011 e del 55% tra 2012 e 2007. Un calo dovuto appunto alla situazione economica. Come ben dimostra il fatto che la riduzione italiana è seconda solo a quella della Spagna: -28% tra 2012 e 2011 e -70% tra 2012 e 2007.
Numeri che hanno rivoluzionato la classifica dei Paesi Ocse a più forte trend d’immigrazione. Se infatti nel 2007 l’Italia era al terzo posto (dopo Stati Uniti e Spagna), nel 2012 è scesa al quinto posto, superata appunto dalla Germania ma anche da Gran Bretagna (286mila) e Francia (259mila). Mentre la Spagna è scesa addirittura all’ottavo posto, con 210 mila ingressi.

Ma il problema dell’Italia, sottolinea l’Ocse, non è tanto quantitativo bensì qualitativo. Ed è questo aspetto a creare una serie di fattori di rischio. L’Italia ha infatti una popolazione immigrata a basso livello di istruzione (solo la Grecia evidenzia una percentuale più alta) e “se il tasso di occupazione degli immigrati è per ora maggiore di quello degli autoctoni – scrive l’Ocse nel rapporto curato dal responsabile della direzione lavoro e affari sociali Stefano Scarpetta – il loro basso livello di istruzione è un potenziale rischio per il futuro, visto che si tratta di persone che fanno fatica ad adattarsi ai cambiamenti strutturali del mercato del lavoro”.

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