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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2014 alle ore 10:09.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2014 alle ore 10:17.

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È la strada che è stata seguita nel caso della Banking Union. Definendo regole uniche per il funzionamento del mercato bancario e un meccanismo di controlli uguale in tutta Europa, si è ottenuto il duplice risultato di consentire a tutti i cittadini europei di disporre di un mercato del credito omogeneo - e quindi di non creare posizioni asimmetriche nell'accesso al credito a secondo delle diverse zone geografiche - e contemporaneamente dare ai risparmiatori un segnale di solidità del sistema bancario dopo gli eventi traumatici della crisi degli ultimi anni.
È una strada che va seguita anche per i mercati finanziari. Per una serie di motivi. Innanzitutto per non discriminarli rispetto al sistema bancario. Se quest'ultimo, a seguito degli interventi Bce ha ottenuto il “bollino blu”, non consentire anche alle imprese finanziarie che lo meritino di ottenere il medesimo attestato di qualità avrà il solo effetto di rendere queste imprese meno sicure agli occhi di risparmiatori e investitori. Con la conseguenza di ostacolare lo sviluppo di un mercato competitivo, tanto più necessario in una fase in cui il credito bancario difficilmente potrà espandersi – in conseguenza dei maggiori requisiti di solidità patrimoniale imposti alle banche – in misura adeguata a sostenere l'auspicato sviluppo del prodotto interno lordo europeo.

In secondo luogo, l'unione finanziaria serve a scongiurare possibili episodi di concorrenza sleale. Se, infatti, l'applicazione e il controllo delle pur esistenti regole comuni del mercato finanziario europeo non risulteranno omogenei e centralizzati, l'effetto sarà quello di incentivare comportamenti di sostanziale “concorrenza sleale” da parte di alcuni paesi a danno di quelli dove possono esportare i propri prodotti. Un caso non dissimile da quello del codice della strada, che è il medesimo in tutta Italia, ma non dappertutto viene applicato con eguale rigore. Una situazione non molto dissimile da quella già descritta delle pensioni.
All'obiezione che si tratterebbe di un fine nobile, ma molto difficile da raggiungersi in concreto, si può replicare che è traguardo realistico. Infatti, nel settore dei mercati finanziari, la legislazione europea vincolante (attuata mediante lo strumento del regolamento e non più con quello della direttiva) sta ormai regolamentando quasi tutti i campi. Disponiamo quindi di una base comune già esistente, che potrà certo essere ampliata e migliorata, ma che costituisce un solido punto di partenza.
Non solo. L'unione dei mercati finanziari potrà costituire il fondamentale punto di passaggio verso la “madre di tutte le unioni”: quella economica. Vediamo perché.
Per far funzionare un mercato finanziario europeo veramente unificato, non si può trascurare la questione della tassazione delle rendite finanziarie. Se esse resteranno, come è oggi, troppo diversificate da paese a paese, il mercato non sarà mai “unico” e l'Europa non si potrà presentare come un continente omogeneo ed “attrattivo” rispetto alle altre realtà continentali mondiali.

Inoltre, una volta definito un livello di tassazione per il mondo della finanza, non si potrà nascondere la testa sotto la sabbia e non affrontare il tema del livello di tassazione per tutti gli altri tipi di reddito. Sarebbe difficile giustificare trattamenti disomogenei da paese a paese. Con la conseguenza che, ad analogo livello di tassazione, dovrà corrispondere un analogo livello di spesa pubblica. E, dunque, la sostanziale unificazione della legislazione. E qui torniamo al discorso iniziale, però questa volta con la soluzione del problema.

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