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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2014 alle ore 07:32.
L'ultima modifica è del 23 dicembre 2014 alle ore 08:25.

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Il brusco crollo del prezzo del greggio ha conquistato titoli in prima pagina in tutto il mondo dalla fine di giugno – e sta dando adito a molteplici spiegazioni contraddittorie. Alcuni attribuiscono il crollo in buona parte alle aspettative in ribasso della crescita globale. Altri si concentrano sull'espansione della produzione di petrolio e di gas da parte dell'America. Altri ancora sospettano un tacito accordo tra Arabia Saudita e Stati Uniti finalizzato, tra altre cose, a indebolire avversari politici come Russia e Iran.

A prescindere dalla causa della caduta del prezzo del petrolio – che probabilmente va individuata in una delle possibili combinazioni di questi fattori – le conseguenze sono le medesime. Certo, anche se prezzi petroliferi più bassi potrebbero dare un forte incentivo alla crescita globale nel suo complesso – come ha osservato Christine Lagarde, direttrice generale del Fondo monetario internazionale –, facendo guadagnare per lo più le economie avanzate che importano petrolio, l'impatto sugli sforzi intrapresi per combattere il cambiamento del clima potrebbe avere effetti devastanti.

In verità, un calo prolungato dei prezzi del petrolio non solo renderebbe meno competitive le fonti di energia rinnovabile adesso, ma oltre a ciò ne pregiudicherebbe la competitività futura scoraggiando la ricerca e gli investimenti. In linea generale, ridurrebbe gli incentivi di consumatori, aziende e governi a perseguire e adottare pratiche di maggiore efficienza energetica.

Anche se rimanessimo nella nostra attuale traiettoria, impedire alle temperature di aumentare di più di 2 gradi Celsius rispetto ai loro livelli pre-industriali – la soglia critica oltre la quale si innescherebbero le conseguenze più devastanti del cambiamento del clima – sarebbe pressoché impossibile. Come ha ribadito l'ultimo rapporto del Pannello intergovernativo sul cambiamento del clima, non possiamo proprio permetterci di rallentare o desistere da tale obbiettivo.

Naturalmente, la climatologia non è una scienza esatta, ma ragiona in termini di probabilità. Tuttavia, nemmeno stime approssimate possono implicare che il rischio sia meno grave. I leader del mondo sempre più sembrano consapevoli di questo dato di fatto, come è stato riconosciuto anche al convegno sul cambiamento del clima di Lima in Peru, conclusosi da poco. Continuano però a fare affidamento su obblighi non vincolanti, e lasciano che il mondo rimanga in una traiettoria climatica pericolosa.

Un brusco calo dei prezzi petroliferi, tuttavia, offre una rara opportunità politica per introdurre un prezzo più alto per le emissioni di anidride carbonica. Dopo tutto, una delle tesi più decisive addotte contro l'introduzione di una “carbon tax” era che avrebbe reso l'energia più costosa. Nemmeno garantire che i proventi di una simile imposta sarebbero stati adoperati per rifinanziare i contribuenti si è rivelato un orientamento adeguato a vincere le resistenze politiche e avere la meglio, soprattutto negli Stati Uniti.

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