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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2014 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 29 dicembre 2014 alle ore 09:35.

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La nascita di una start up è un modo per costruire la ricchezza del futuro grazie all’intelligenza imprenditoriale di un popolo. In teoria - letta in questo modo - noi italiani dovremmo essere all’avanguardia nel mondo per capacità di fare impresa. Ma non è così, anzi non è così per tutta l’Europa, se paragonata agli Stati Uniti. Anche se gli ultimi programmi di Bruxelles prevedono una disponibilità particolare, anche in termini di finanziamenti, verso le nuove imprese, il confronto con gli Usa vede il Vecchio continente ancora indietro.

Penalizzati da una minore disponibilità di fondi, fra il 2009 e l’agosto 2014 i nuovi investimenti nell’Unione europea sono stati poco più di 2.500 contro gli oltre 6.700 degli Stati Uniti. E il valore medio dell’investimento nella fase di avvio è stato, in Europa, attorno ai 150mila dollari, meno di un terzo rispetto ai 500mila mobilitati negli Usa.

Fin qui l’Europa. Ma in Italia la situazione è ancora più complicata. Certo, conta la difficoltà di reperire finanziamenti per lo sviluppo più che la mancanza di capacità imprenditoriale. Fatto sta che il recente “Rapporto Pmi” del Cerved ha fissato uno scenario molto problematico per la nascita di nuove idee imprenditoriali nel nostro Paese. Le oltre 81mila start up avviate nel 2007 sono scese sotto quota 65mila nel 2012. Una sequenza negativa interrotta poi dall’introduzione delle “Srl semplificate” (procedure di iscrizione più snelle, spese notarili assenti con l’adozione di uno statuto standard e capitale sociale sotto i 10mila euro) che ha portato alla registrazione di 71.738 nuove imprese (+11,8% sull’anno precedente) nel 2013 e a un ulteriore aumento del 6,4% nel primo semestre 2014, quando ne sono nate 42mila.

Il problema, però, è un altro. La scarsità di fondi disponibili, nella fase di crescita, porta alla morte di una neo-impresa su due entro tre anni dall’avvio attività. Già nascono nane, nel senso che dal 2010 quasi due su tre hanno un capitale inferiore ai 5mila euro (prima il rapporto era di una su due), se poi mancano le risorse per lo sviluppo è facile capire una ragione della mortalità.

In Italia è particolarmente assente il ruolo delle banche, che non prestano - o prestano poco - soldi alle aziende di nuova costituzione. La ricerca Cerved evidenzia come il numero delle start up che fin dal primo bilancio riportano debiti od oneri finanziari - segnale di un finanziamento almeno parziale da parte del sistema creditizio - è andato crescendo fino a superare quota 9mila società di capitale, poi si è drasticamente ridotto. Nel 2012 le start up che hanno avviato l’attività grazie a un finanziamento del sistema creditizio sono state meno di 5mila (il 47% in meno rispetto al 2007). Una contrazione che influisce sulla capacità di svilupparsi e creare lavoro.

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