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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2015 alle ore 13:33.
L'ultima modifica è del 04 gennaio 2015 alle ore 13:39.

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Mario Draghi ha presentato il 31 dicembre su queste colonne la sua visione strategica sull'Eurozona (ma anche sulla Ue) declinata poi in aspetti più specifici il 2 gennaio nell'intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt. Il disegno strategico arriva al 2019, quando il quinquennio istituzionale europeo appena iniziato si concluderà e anche Draghi cesserà quale presidente della Banca centrale europea.

L'importanza dell'intervento di Draghi merita un'ulteriore riflessione che facciamo con libertà di sintesi anche a rischio di qualche svista interpretativa. Tralasciamo invece le notizie sui mercati dove i titoli di Stato (con difficile distinzione tra fisiologia e patologia) segnano rendimenti sempre più bassi:il decennale italiano a 1,74% (minimo storico,con spread a 124 punti base), quello spagnolo a 1,49%, quello tedesco a 0,50% (con il quinquennale negativo) mentre l'euro è a 1,20 cioè a livello di giugno 2010. L'effetto Grecia c'è stato solo per Atene se si pensa che i decennali portoghesi rendono quasi quanto quelli Usa perché molti (tutti) si aspettano che Draghi “agisca” di nuovo. Il problema è come.
Integrazione e unione
Draghi afferma che l'Unione monetaria europea è già molto oltre quella dell'euro perchè i Paesi dell'Eurozona hanno un grado di integrazione che ha una forte connotazione politica dimostrata durante la crisi e dalle decisioni per affrontarla. Ne seguono varie conseguenze.

La prima, implicita, consiste nell'impossibilità di uscita dall'euro (come qualcuno vagheggia) in quanto non si tratterebbe solo di abbandonare la moneta ma di tagliare i tanti nessi dell'integrazione. La conferma di questo è venuta nei giorni scorsi anche dalla Grecia dove nel 2009 si era accesa la crisi europea dei debiti sovrani e che nell'attuale difficoltà politica non ha generato contagio.
La seconda conseguenza, esplicita, consiste nell'urgenza di accentuare il processo di integrazione economica in modo tale che ogni Paese della Uem guadagni in prosperità e stabilità. Questa integrazione avanzata poggia per Draghi su tre pilastri: le riforme strutturali nei Paesi membri (più concorrenza, meno burocrazia, fisco più leggero, mercati dei fattori più flessibili) per favorire la convergenza; un sistema finanziario più integrato sia tramite l'unione bancaria già in corso sia tramite un mercato dei capitali unificato e quindi dotato di adeguato spessore, capace di assorbire e distribuire meglio gli shock che non è possibile fronteggiare con trasferimenti a carico di un bilancio pubblico integrato; politiche di bilancio dei singoli Paesi in grado di contrastare periodi di recessione. Condizione necessaria a tal fine sono bilanci pubblici sani uniti ad adeguate prospettive di crescita che i mercati considerano (giustamente) importanti per la sostenibilità dei debiti pubblici.

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