
In campagna elettorale l’esercizio della verità è faticoso. Soccorre a volte la ferrea logica dei numeri. È il caso della riforma delle pensioni del 2011, targata Monti-Fornero, che la Lega vorrebbe abolire, oppure rivedere in più punti secondo quanto più realisticamente prevede Silvio Berlusconi. Si può fare? Si dovrebbe mettere in campo un’altra riforma che garantisca almeno gli stessi effetti in termini di minore spesa. Esercizio alquanto complesso.
La premessa è che le riforme varate a partire dal 2004 riducono la spesa pensionistica di 60 punti di Pil fino al 2060. In particolare la vituperata riforma Fornero garantisce risparmi per 21 punti di Pil, pari nella media a circa 20 miliardi l’anno, per un totale di 350 miliardi.
Se questa è la logica dei numeri, l ’altro elemento fondamentale da non sottovalutare è che stiamo parlando della principale garanzia di sostenibilità del nostro debito pubblico nel medio-lungo periodo. Non a caso, dall ’Ocse al Fmi, la riforma del 2011 è considerata uno dei “pilastri” dell ’attuale sistema. È in poche parole la garanzia da offrire a quanti - mercati, investitori italiani ed esteri - sottoscrivono titoli del debito pubblico che nella media si collocano attorno ai 400 miliardi l’anno. Ed è, al tempo stesso, uno dei fondamentali atout messi in campo in questi anni nella lunga e defatigante trattativa con Bruxelles, che ha consentito di beneficiare dal 2015 in poi di oltre 30 miliardi di flessibilità
Se ci si sofferma su gran parte dei report e delle proiezioni macroeconomiche messe a punto dalla Commissione Ue negli ultimi anni, si avrà la conferma che è proprio la sostenibilità della spesa previdenziale la chiave di volta. Lo scorso 22 novembre, nel rinviare alla prossima primavera il giudizio finale della manovra (con annessa l’ipotesi di una manovra correttiva da 3,5-4 miliardi), l’esecutivo comunitario ha invitato non a caso l ’Italia ad attenersi «alle importanti riforme di bilancio strutturali varate finora, come quella delle pensioni che supporta la sostenibilità a lungo termine del debito pubblico».
Il costo dell’abolizione
Quanti propongono di smontare o rivedere drasticamente questo impianto dovrebbero quanto meno provare a spiegare agli italiani come intenderanno agire perché la fondamentale sostenibilità della spesa pensionistica (e dunque del debito pubblico) sia comunque garantita. Il che equivale a reperire risorse compensative per 280 miliardi da qui al 2060, conteggio che non tiene ovviamente conto dei risparmi conseguiti finora e incorpora gli 11 miliardi utilizzati per le otto salvaguardie varate a beneficio degli esodati.
Se limitassimo il calcolo al periodo interessato dalla prossima legislatura (2018-2023), il conto si limiterebbe – si fa per dire – a 100 miliardi, vale a dire a 20 miliardi l’anno. E così, tanto per fare due conti, il prossimo governo si troverebbe – prima ancora di mettere mano a una qualsivoglia manovra di sostegno dell ’economia – a dover reperire risorse per il solo 2019 pari a circa 40 miliardi. A tanto ammonterebbero i 20 miliardi di mancati risparmi della riforma Fornero, i 12,4 miliardi delle clausole di salvaguardia residue da neutralizzare nel 2019 (l ’aumento dell ’Iva e delle accise) e la manovra correttiva in arrivo a maggio. Cifra cui andrebbe aggiunta la quasi certa, maggiore spesa per interessi generata dal ritorno del rischio Italia sui mercati, effetto pressoché certo della decisione di smontare uno dei pilastri su cui si basa la sostenibilità dei nostri conti pubblici.
Ecco spiegato uno dei motivi per cui appare sbagliato e fuorviante impostare la caccia al voto attraverso ricette il cui effetto peserebbe sul futuro del nostro paese, da qui ai prossimi decenni. L’apertura di una procedura d’infrazione del debito eccessivo da parte di Bruxelles farebbe peraltro precipitare nuovamente l ’Italia nel girone del sorvegliati speciali, chiudendo le porte a nuova flessibilità (di cui abbiamo fruito finora proprio perché inseriti nel cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità).
Più realistico e apprezzabile sarebbe leggere nei programmi elettorali proposte concrete e credibili (è l ’invito rivolto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) per sostenere crescita e occupazione avviando in tal modo la progressiva riduzione del debito, giunto al suo massimo storico (132,5% del Pil) nella previsione per il 2017.
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