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Dossier Elezioni 4 marzo 2018 - Ultime Notizie: Protagonisti, Interviste e Video

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Dossier | N.177 articoli

Elezioni 2018-Ultime notizie, interviste e video

Domenica 4 marzo gli italiani hanno votato: lo scenario post voto vede un trionfo del M5S, un exploit della Lega e il crollo del Pd. Nessuna forza politica ha però la maggioranza. A Mattarella il compito di far nascere il nuovo governo con imprevedibili alleanze

  • Vittoria storica del M5S, ma una maggioranza tutta da trovare

    Il Movimento sfonda il 30% e supera il 45% al Sud. Incognita alleanze per Palazzo Chigi - Il trionfo è nei fatti: il M5S ha sfondato la soglia del 30% sia alla Camera che al Senato, con punte del 45% al Sud dove sembra aver fatto il pieno anche nei collegi uninominali. Ma da qui a capitalizzare il risultato ce ne corre: la strada che porta a Palazzo Chigi è lastricata di incognite. La prima è in quanti seggi si tradurrà realmente il consenso. La seconda è dove cercare alleati per un eventuale governo. Qualche indizio in più potrebbe fornirlo Luigi Di Maio oggi: è lui innanzitutto ad aver vinto la scommessa di “normalizzare” il Movimento, archiviando i vaffa e ammorbidendo i toni sull'euro e sull'Europa. Sicuramente, come hanno subito chiarito il fedelissimo Bonafede e Alessandro Di Battista, i Cinque Stelle rivendicheranno la posizione di primo partito per essere coinvolti nella partita che si aprirà al Quirinale nelle prossime settimane. La liquidità del M5S lascia aperte tutte le porte. Sia verso la Lega di Salvini sia verso la sinistra. Con un Pd senza Renzi, dicono i pentastellati a microfoni spenti, e con Liberi e Uguali. Del resto, la stessa squadra di governo presentata da Di Maio guarda più in quest'ultima direzione. Ma la disponibilità degli altri è tutta da verificare. E i pentastellati non possono escludere il rischio che li spaventa di più: essere estromessi da eventuali governissimi. Faranno di tutto per evitare lo spettro di altri cinque anni all'opposizione.

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  • Renzi prende atto del tracollo e medita le dimissioni

    Il peso della scissione, che non premia gli ex compagni di Leu - Un Pd sotto il 20 per cento è un risultato al di là delle peggiori previsioni, e in queste ore lo stesso segretario Matteo Renzi sta meditando le dimissioni, che potrebbero arrivare breve, dopo la proclamazione dei dati ufficiali. Nelle prime riflessioni con i suoi l'ex premier si dice “più preoccupato per l'Italia che per il Pd”. Intanto la linea in vista delle prossime consultazioni per la formazione del governo è fissata da subito con le parole del capogruppo uscente alla Camera e padre del Rosatellum, Ettore Rosato: Noi siamo alternativi al Pd, se hanno i numeri governano, noi stiamo all'opposizione». Un Pd così debole in effetti non può permettersi di fare il portatore d'acqua a un governo guidato da una personalità del centrodestra né tanto meno, anche senza più Renzi alla guida, a un governo pentastellato. Certamente il Pd, oltre agli errori del suo leader, sconta un'intera legislatura al governo con una parte del centrodestra. Ma sconta anche una scissione a sinistra che forse si poteva evitare e di cui portano la responsabilità in parti eguali sia Renzi sia i leader che se ne sono andati. Anche la nuova formazione promossa dagli scissionisti Bersani e D'Alema - Liberi e uguali - si attesta non a caso su un risultato mediocre: secondo le proiezioni della notte tra il 3 e il 4% quando la soglia di sbarramento è al 3%. E' la conferma di un dato storico: le scissioni a sinistra non premiano i promotori della scissione e danneggiano molto l'immagine del partito “madre”.

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  • Mattarella e il rebus dell’ingovernabilità

    Il Colle non potrà prescindere dai 5 Stelle - Come era nelle previsioni, il risultato di ieri non assegna la maggioranza numerica a nessuna delle forze politiche. In questo quadro il ruolo del capo dello Stato diventa centrale nella soluzione del rebus ingovernabilità che è consegnata dalle urne. Quello che è certo è che con il risultato dei 5 Stelle, Sergio Mattarella non potrà prescindere da loro. Non è detto che partirà proprio da Luigi Di Maio affidandogli un pre-incarico ma al Quirinale non ignoreranno che il Movimento è diventato lo snodo nevralgico di questa legislatura. Come si è ampiamente detto, un test importante sarà l'elezione dei presidenti di Camera e Senato e se i grillini stringeranno un accordo di maggioranza in questo passaggio, sono i candidati in pole position per ricevere un mandato dal Colle e confermare l'esistenza dei numeri per un Governo. Non sono gli unici però. La coalizione di centro-destra, se si confermerà compatta nei prossimi passaggi, resta l'altro candidato a un pre-incarico al termine delle consultazioni. Verso quale scenario di Governo si andrà è prematuro dirlo vista la distanza tra i vari blocchi. L'ipotesi di un Esecutivo di larghissime intese, per evitare l'impasse e l'emergenza finanziaria resta in campo

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  • Di Maio, il grillino moderato che sogna Palazzo Chigi

    In cinque anni il 31enne campano ha scalato il M5S contribuendo alla sua “normalizzazione” - Era stato Gianroberto Casaleggio a indicarlo come il più adatto a diventare il primo candidato premier del M5S. Luigi Di Maio da Pomigliano D'Arco, classe 1986, non ha tradito le aspettative. Cresciuto in quella borghesia meridionale di stampo conservatore da cui provengono tanti Cinque Stelle, comincia la sua attività politica sin dai banchi di scuola e all'università, che frequenta senza mai laurearsi. Là con alcuni colleghi fonda la piattaforma online StudentiGiurisprudenza.it Come stupirsi della scintilla con Beppe Grillo, il blog e il Movimento? Nel 2007 apre il meetup della sua città. Nel 2013 partecipa alle parlamentarie grilline, incassa 189 voti e corre alla Camera nella circoscrizione Campania 1 con il M5S. Capolista è Roberto Fico, estrazione di sinistra: il suo alter ego sin dalle origini. Da lì l'ascesa di Di Maio è inarrestabile. A soli 26 anni diventa vicepresidente della Camera. Si accredita come il più presentabile, diverso dai grillini delle scie chimiche e delle lotte anti-vaccini. Diventa il leader dei “pragmatici”, attirandosi l'ostilità degli “ortodossi” che temono una normalizzazione del Movimento. Vince lui, benedetto dai vertici. Sopravvive alle gaffe e alle esperienze complicate cui è chiamato a fare da sponsor, come quella di Virginia Raggi a Roma. Viene allevato a colpi di tour di accreditamento presso le cancellerie europee, incontri con le lobby, il sostegno di collaboratori intraprendenti come Vincenzo Spadafora. A settembre 2017 viene incoronato capo politico. La scalata al Movimento è compiuta. Comincia quella verso Palazzo Chigi, con una campagna elettorale tutta volta a rassicurare: «Non lasceremo il Paese nel caos». La metamorfosi è compiuta, i vaffa sono archiviati. E la vittoria del M5S è soprattutto la sua.

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  • Elezioni, avversari in politica e soci in affari

    Gli interessi economici dei 7.662 candidati alla tornata elettorale del 4 marzo sono stati messi sotto la lente da Openpolis con “A schede scoperte”. Dei candidati 1.848 hanno proprietà in aziende e 3.862 hanno incarichi aziendali. E ci sono candidati che alle urne si scontrano su fronti opposti, ma hanno interessi comuni

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