Una sola scuola comunale per l’infanzia con 60 posti, ma i bambini iscritti sono 28 e quelli che frequentano solo 20. Numeri chiave che descrivono quella che a Caserta, città con 76.126 abitanti e 4.200 bambini nella fascia di età tra zero e sei anni, si può definire “una grave emergenza”. In altre parole, i servizi sono quasi inesistenti, tanto che i cittadini non ne fanno nemmeno domanda. Ma Caserta non è il caso limite, è piuttosto l’esempio di una situazione diffusa nel Sud d’Italia con Campania, Puglia e Calabria in fondo alla classifica per dotazione di asili nido pubblici e privati.
Eppure, la struttura della città della Reggia è di tutto rispetto: perché allora, almeno quest’unica, non utilizzarla al meglio? In via Cappiello, a ridosso del centro cittadino, un edificio inaugurato come asilo nido nel '94, si sviluppa su 2.500 metri quadrati, con ampi spazi all’interno e un giardino lungo il perimetro. Sala giochi, lavanderia, mensa, palestra, ambienti ampi e luminosi, ma sono evidenti i segni di una manutenzione ordinaria da tempo tralasciata. «Fino al 2010 – racconta Anna Maria Schiavone che svolge il ruolo di direttrice – registravamo anche 200 e più domande di iscrizione. Da qualche anno la domanda è calata, siamo a una ventina circa. Forse la crisi, forse un errore di comunicazione per cui molti pensano che la scuola sia chiusa». In una fredda giornata di febbraio, quando l’influenza raggiunge il picco, a scuola sono presenti cinque bambini (divezzi) e due lattanti: insomma è semivuota.
Dei 20 iscritti, un folto gruppo di bambini usufruisce del servizio gratuitamente poiché le rispettive famiglie si collocano nelle fasce protette. Tra questi, due bimbi di genitori stranieri, tutti gli altri sono casertani. Le rette per gli altri raggiungono i 210 euro se l’Isee è al di sotto dei 14mila euro e i 275 euro per coloro che presentano un Isee superiore alla soglia dei 14mila annui.
«Oggi abbiamo un solo asilo comunale – conferma il sindaco Carlo Marino alla guida della città dal 2016 – ma ne abbiamo otto privati. Inoltre abbiamo un piano che prevede l’apertura di altre quattro strutture pubbliche. Tre di queste finanziate, due dalla Regione Campania, e una dal Governo. Ci prepariamo a partecipare con un progetto al bando che la Regione aprirà a giugno». Per l’asilo esistente? Il sindaco parla di un «ampliamento dell’utenza fino ai sei anni e di valorizzazione al fine di attrarre un maggior numero di iscrizioni». Con quali risorse? Il Comune di Caserta dal 2011 è in dissesto, oggi conta ancora debiti per 10 milioni. Si spera di poter chiudere il dissesto entro fine anno e questo forse potrà dare ossigeno anche alla rete di servizi.
In realtà di scuole per l’infanzia (ex asili nido) è carente l’intera regione Campania, con un tasso di 6 posti disponibili per cento bambini. A Napoli si contano 40 strutture comunali e 2 date in gestione a privati per un totale di 1.499 posti (dati al 2016), ma – raccontano gli operatori – «è sempre emergenza». «C’è una forte carenza di organico – spiega Caterina Otranto maestra e sindacalista Cisl – nonostante le assunzioni fatte dalla prima giunta De Magistris. Mancano almeno 120 tra puericultrici e maestre d’asilo. Le carenze maggiori si rilevano al Vomero, quartiere molto popolato con una forte domanda, e a Scampìa, periferia con problemi di degrado e povertà».
Nelle regioni del Sud pochi posti
Nei capoluoghi del Nord è concentrato il 51% delle strutture italiane (corrispondente al 50% dei posti disponibili), segue il Centro con il 37% delle strutture (pari al 39% dei posti disponibili) ed infine il Sud con il 12% delle strutture (e l’11% dei posti disponibili). La fotografia scattata dall’Istat e relativa al periodo 2014-2015, rileva un’offerta di servizi che si differenzia molto fra le aree del Paese. Si pensi che nelle strutture pubbliche e private, nel Nord-Est e nel Centro si hanno mediamente 30 posti per 100 bambini, al Nord-Ovest 27, al Sud e nelle Isole rispettivamente 10 e 14. La Campania è sul 6% circa. Valori lontani dalla quota di 33 posti per 100 bambini che l’Unione europea ha fissato come obiettivo strategico.
Cittadinanzattiva: al Sud costi più bassi
In compenso, dal dossier di Cittadinanzattiva aggiornato al 2016 emerge che nelle regioni meridionali i costi per l’asilo nido comunale sono mediamente più bassi rispetto al Centro e al Nord. Nell’anno in corso la spesa media in Italia è di 301 euro, in calo del 2,6% rispetto all’anno scolastico 2014-2015. In Campania la spesa media a carico delle famiglie è più bassa: quest’anno è pari a 247 euro, ma in aumento (come nella maggior parte delle regioni meridionali) del 2,7% rispetto al 2014-2015 e del 32% rispetto al periodo 2005-2006. Ma, attenzione, spesso i costi dichiarati al Centro Nord sono comprensivi di tutto (nel 40% dei casi), a differenza del Sud (3%): per le famiglie meridionali quindi vi sono costi aggiuntivi a esempio per mensa o pannolini. In Campania le rette più alte sono richieste alle famiglie di Benevento, che pagano in media, tra nido e mensa, 300 euro.
La Regione stanzia 38 milioni per nuovi asili
Sono stati pubblicati sul Burc del 5 febbraio due avvisi per due distinti bandi, uno destinato al potenziamento e alla costruzione di nuovi asili nido, l’altro all’erogazione di voucher per incentivare l’utilizzo delle strutture. «Con questi interventi cerchiamo di recuperare un gup –afferma l’assessore regionale all’Istruzione Lucia Fortini – contiamo di creare in totale 7mila posti-nido tra interventi nuovi e stabilizzazione di unità esistenti».
Il riparto del fondo nazionale penalizza il Sud
Ma se il Sud ha pochi asili nido è anche perché riceve meno risorse dallo Stato. Questione tanto spinosa quanto centrale è quella del riparto del fondo nazionale, per cui vengono utilizzati parametri svantaggiosi per le regioni meridionali. Il Piano pluriennale nazionale varato nel 2017, a esempio, ha stanziato risorse per 209 milioni, erogate dal Miur. Il Fondo viene ripartito tra le Regioni in base a tre parametri: popolazione tra 0 e 6 anni (40%), percentuale di iscritti nel 2015 (50%), popolazione tra 3 e 6 anni non iscritta. Ciò significa che il 50% delle risorse viene assegnato a chi nel 2015 aveva più asili e quindi più iscritti (si pensi che la Campania è la regione con il numero più basso di iscritti pari a 1,6 milioni). In conclusione, il 74% dei fondi è andato al Centro Nord. «In Conferenza Stato Regioni ho contestato duramente il riparto – racconta l’assessore Fortini – fino a minacciare di far saltare il tavolo. Ma ero in minoranza. Sono riuscita a ottenere una revisione dei calcoli e la mia Regione ha ottenuto 13 milioni anzicchè 11».
Quasi duemila le donne che nel 2016 hanno lasciato il lavoro
Meno risorse, vuol dire meno posti disponibili, quindi meno occasioni per i bambini e soprattutto per le famiglie di conciliare le esigenze di casa e lavoro. E quando si parla di famiglie in realtà si vuol dire donne. In Campania nel 2016 (secondo dati della Direzione regionale del Lavoro) si sono dimessi 1067 lavoratori tra i 26 e i 36 anni. Di questi 992 donne e 75 uomini. «È chiaro che il carico familiare le spinga a tanto – commenta Anna Letizia, consigliera di parità della Cisl Campania – I nidi comunali sono quasi inesistenti, costano molto e talvolta anche la qualità del servizio è deludente. Le donne con più figli troppo spesso si trovano costrette a dimettersi se non hanno già rinunciato in partenza a cercare un’occupazione».
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