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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2010 alle ore 16:44.
L'ultima modifica è del 15 maggio 2010 alle ore 18:11.
C'è poco da girarci intorno. Per Francesco Di Giacomo, front leader del Banco del Mutuo Soccorso nonché grande appassionato della musica dei Fab Four, quel 10 aprile 1970 corrisponde a «una data epocale» a seguito della quale «un'intera generazione restò orfana». Ironia della sorte, si era appena inaugurata la stagione del progressive, quella in cui molte band italiane di valore assoluto – e tra di esse quella capitanata dallo stesso Di Giacomo in tandem con il tastierista Vittorio Nocenzi – si sarebbero guadagnate prestigiose ribalte internazionali.
Di Giacomo, come prese la notizia dello scioglimento dei Beatles?
Per fortuna avevo 23 anni, non ero più un ragazzino. Non ero più portato a mitizzare le persone e così me ne feci una ragione. Per quanto, nel caso dei Beatles, fosse oggettivamente difficile non mitizzare: quel giorno del 1970 non finiva un gruppo, ma un'epoca. Loro avevano la capacità di essere ciò che il mondo sarebbe stato un attimo dopo. E non parlo soltanto di musica ma anche e soprattutto di costume. Sono stati il ribellismo giovanile dei primi anni Sessanta, l'avanguardia del movimento hippie, la ricerca del rinnovamento interiore con il viaggio in India. Tutte cose che sono rapidamente diventate patrimonio della nostra generazione.
L'Italia, invece, come prese la notizia?
I più si abbandonarono alla costernazione. I giornali di quel periodo erano pieni di lamentazioni funebri sui Fab Four che ci lasciavano e la scena musicale internazionale che non sarebbe più stata quella di prima. Qualcuno, per fortuna, capì che nulla può durare per sempre.
In estrema sintesi, i Beatles si sciolgono perché si rompono gli equilibri tra John e Paul. Ma è così difficile vivere e lavorare fianco a fianco in una band?
Avere un gruppo è sempre una limitazione del proprio ego: devi inevitabilmente rinunciare a cose che magari da solo, musicalmente parlando, faresti. Non conta più l'«io» ma il «noi». Questa cosa nei Beatles valeva ancora di più, perché insieme loro quattro rappresentavano una meravigliosa sinergia. Quando da ragazzino Lennon fece entrare McCartney nei Quarrymen disse: «Rinuncio a fare il leader ma mi metto in casa uno che può dare tanto alla causa comune». Un atteggiamento del genere, anche in politica, avrebbe una portata dirompente. Era proprio la sinergia a fare la differenza: John era il genio, Paul il pragmatismo, George l'introspezione. Non sarebbe stata la stessa cosa se fossero stati John Lennon and the Beatles o Paul MacCartney and the Beatles.