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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2010 alle ore 10:14.
L'ultima modifica è del 15 maggio 2010 alle ore 15:47.
Questa è una segnalazione per musicofili di lungo corso o anche per neofiti, che però siano già intenti ad approfondire con tenacia le vicende musicali di oggi e di ieri. Nei negozi è arrivato per la prima volta un cd importante e bello, di quelli che si definiscono imperdibili. Il titolo dice già molto: Miles Davis Quintet Live in Berlin 1969 (Gambit Records), ma bisogna aggiungere alcune precisazioni. Il giorno della registrazione è il 7 novembre 1969, non calcolando tre brani "bonus tracks" catturati tre mesi prima al festival di Montreux e piazzati a fine disco per arrivare al minutaggio massimo che un cd può ospitare.
Il luogo è la Sala Philharmonie di Berlino, situata a pochi metri dal Muro come vetrina orgogliosa dell'Occidente ben visibile dall'altra parte. Nel quintetto, oltre a Davis, ci sono Wayne Shorter sassofoni, Chick Corea piano elettrico, Dave Holland contrabbasso/basso elettrico, Jack DeJohnette batteria. Pochi giorni prima, il 26 ottobre, lo stesso gruppo – impegnato in un tour europeo – aveva tenuto due concerti, pomeridiano e serale, al Teatro Lirico di Milano oggi desolatamente chiuso. La storica registrazione del celebre lp Bitches Brew era già avvenuta a New York durante tre giorni dell'agosto precedente. Inoltre il quintetto, sebbene simile o identico nell'organico a quello che ha accompagnato Davis lungo buona parte negli anni Sessanta, è ormai diverso nell'impostazione perché risente in pieno della svolta di Bitches Brew. Ne sono la prova anche i brani, più o meno gli stessi di Milano nella scelta ma ovviamente non nell'esecuzione: io c'ero. Sono Directions, Bitches Brew, It's About Time, I Fall In Love Too Easily, Sanctuary. Ora che si ascoltano con il vantaggio di poterli disporre nella giusta prospettiva storica, ci si accorge del loro fascino di opere di transizione, relative come sono al momento di una grande virata del jazz che a conti fatti è rimasta l'ultima. Si può fare addirittura un confronto sottile con i tre brani di Montreux: essi danno l'impressione di essere un tantino differenti perché la registrazione di Bitches Brew, la cui avventurosa importanza è tale da aver meritato il libro di due studiosi italiani, doveva ancora avvenire (cfr. Enrico Merlin & Veniero Rizzardi, Bitches Brew, Il Saggiatore, Milano 2009, pp. 320). Alla transizione appartiene un'altra opera indimenticabile, In A Silent Way di Joe Zawinul, anch'egli allora collaboratore di Davis che gli scippò la paternità del brano cambiandogli i connotati, e Zawinul se ne lamentò sempre. C'è una seconda novità discografica da segnalare, su un versante "altro" ma non troppo perché il protagonista è il sommo pianista Friedrich Gulda che sapeva praticare anche il jazz: si tratta di Gulda/Chopin, doppio cd della Deutsche Grammophon. E' noto che la main street di Gulda andò da Johann Sebastian Bach a Ludwig van Beethoven e a Wolfgang Amadeus Mozart, lasciando un po' da parte Frédéric Chopin. Qualcuno pensò che l'interprete non si sentisse troppo sicuro con l'autore polacco. Ma qui c'è la smentita: Gulda suonava bene proprio tutto. Nell'album c'è anche un accorato codicillo composto da lui con riferimenti à la manière de Chopin. Si intitola Epitaph For a Love: se ne sconsiglia l'ascolto a chi si trovi in analoga situazione.