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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2010 alle ore 17:25.
L'ultima modifica è del 17 maggio 2010 alle ore 10:47.
Con un brevissimo assolo s'apre lo spettacolo "Incipit" de La Compagnia, recente formazione nata all'interno dell'Accademia Nazionale di Danza di Roma. Tratto da "Nefès", spettacolo del 2003 dedicato a Istanbul, è un omaggio di appena tre minuti che Pina Bausch, membro onorario dell'istituzione capitolina, fece al neonato ensemble poco prima della sua morte.
Un volteggiare solare, veloce, brillante, creato per l'interprete storica Cristiana Morganti, ed ora eseguito dall'argentina Teresa Marcaida. Il tempo di un "respiro" – traduzione della parola turca del titolo – che restituisce, in quel continuo girare del corpo rivestito di un lungo abito rosso, lo spirito di un paese del sud, la sua allegria e gioia di vivere. Il breve assaggio, a cui però manca la forza ammaliante, introduce le altre due coreografie di Jacopo Godani e di Robyn Orlin. Due autori che mettono alla prova i giovani danzatori alle prese con stili molto diversi. E sono di diversi paesi i componenti della Compagnia, votati ad una versatilità stilistica che è manifesto peculiare del progetto artistico.
Ecco allora il linguaggio di Forsythe rivisitato dalla mano originale di Godani, che ha militato nelle fila del Ballett Frankfurt assorbendo il lessico postclassico del coreografo. In "Da ora in poi", c'è elettricità nell'aria. Che scuote i corpi. Nella massa che si smembra e si ricompone lasciando spazio a terzetti interscambiabili, a gruppi sparsi sulla scena, ritroviamo un dinamismo del movimento continuamente destrutturato che si serve della trama sonora di Ulrich Müller per una composizione di pura danza. Luci taglienti e intermittenti, chiaroscuri, lampi e tuoni, fanno da tessuto visivo e sonoro ad una ricchezza di vocabolario scritto sugli atletici e scomponibili corpi dei bravissimi danzatori.
Nutriamo invece molte perplessità sul brano della sudafricana Orlin "…With astonishment i note the dog", più performance che coreografia. Suggestionata, al momento della creazione, dalle immagini del terremoto de L'Aquila, la coreografa impacchetta i danzatori dentro costumi di carta facendoli muovere in platea. Quando saliranno sul palcoscenico le strane forme assunte si riveleranno essere dei cani alla ricerca della vita fra le macerie. Dall'involucro partoriranno palloncini a salsicciotti, scarpette, cagnolini di peluche, un osso, e quant'altro. Intanto su uno schermo scorrono filmati di contestazioni operaie e studentesche degli anni '70, immagini di cani randagi o ai raggi x, di santini accomunati dalla presenza dell'amico fedele. E mentre i performer si spacchettano seminando carta, indossando allegramente maschere canine, e bloccandosi in pose da santi in preghiera, uscirà dal gruppo pure un trans con tanto di parrucca e alti tacchi a spillo. Infine, a completare la confusione indosseranno magliette inzuppate d'acqua scivolando allegramente fra il pubblico che non può sottrarsi all'abbraccio bagnato.