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«Spazio» alle novità

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 17:06.

Tre Nature di Lucio Fontana: tre grumi scuri la cui superficie esplosa lascia intravedere il magmatico interno fungono da nuclei germinativi del percorso della collezione con cui il Maxxi apre le porte. Contigua è l'Italia Porta di Luciano Fabro, uno degli artisti che, vivendo l'arte come cinghia di trasmissione tra passato e futuro, più consapevolmente hanno elaborato l'eredità formale italiana.

Per un museo la collezione costituisce il baricentro, l'elemento portante e caratterizzante. Per questo l'itinerario attraverso la collezione è il fulcro delle attività di apertura del Maxxi.

Titolo e filo conduttore del percorso è lo «Spazio», un tema emerso spontaneamente all'interno di questo edificio e rivelatosi ineludibile: la struttura dell'edificio di Zaha Hadid offre l'opportunità per un reale ripensamento delle strategie espositive. Nell'ambito di «Spazio» le opere si sono andate coagulando in quattro aree tematiche che si susseguono senza soluzione di continuità: «Naturale Artificiale», «Dal Corpo alla Città», «Mappe del reale», «La Scena e l'Immaginario».

Nella prima area tematica, dopo Fontana, ecco Gilbert & George, di cui è esposta un'installazione composta di quattro grandi disegni a carboncino: un paesaggio fitto e immersivo ricco di luci e di ombre, di echi e di suggestioni; un luogo di attraversamento e di ricreazione, che vive in relazione alla nostra presenza, che è impregnato di cultura; ed ecco Claudia Losi, con un paesaggio ricamato frutto di un processo collettivo, e Anselm Kiefer, con il suo cielo percorso da una tensione visionaria; giungiamo ad Hamish Fulton, il "walking artist" per il quale l'arte è distillato di esperienza: i suoi quadri hanno origine nella pratica della camminata e nel concreto, individuale confronto con la natura: «No walk, no work» sintetizza Fulton. Contigua è la Faradayurt di Jana Sterbak, una tenda di forma arcaica ma realizzata in flectron, materiale ipertecnologico che protegge dalle onde elettromagnetiche. Faradayurt esprime le odierne preoccupazioni di ordine ecologico, e rivela la crescente difficoltà a difendere la nostra autonomia e a mantenere un controllo sul contesto in cui viviamo.

Siamo giunti a uno snodo fondamentale del museo, occupato dal grande igloo di Mario Merz. Da qui, verso sinistra, tre scenografici gradoni con opere che raccontano il dilatarsi dei nostri spazi di esperienza in nome di dinamiche geopolitiche globali. La mappa di un grande antesignano, Boetti, dialoga con le tende di Studio Orta, che immagina un futuro di libera circolazione non solo per le merci, ma anche per gli individui; e con l'arazzo di Kentridge, che racconta un andare che è allo stesso tempo istanza esistenziale e fenomeno attuale legato ai sempre più massicci flussi di popolazioni. Ma dialoga anche con il paradossale progetto di Avl, Slave City: il disegno di una città in cui tutti risultiamo asserviti ai meccanismi dell'iperfunzionalità.

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Tags Correlati: Alterazioni Video | Architettura | Cesare Pietroiusti | Claudia Losi | Contigua | Francis Alys | Grazia Toderi | Ilya Kabakov | Tony Oursler | Zaha Hadid

 

Un'altra sezione è dedicata all'abitare, a partire dal più vicino, l'abitare intimo della stanza e della casa, fino all'estensione urbana intesa come sistema ordinato da un lato, come contraddittorio luogo del conflitto dall'altro; tra le sue pieghe vive chi non ha casa, come gli Sleepers, i senzatetto ritratti da Francis Alys; e cresce l'architettura abusiva, come racconta il wallpaper del gruppo Alterazioni Video. L'architettura spontanea è anche il tema di un'opera che ha trovato spazio nel piazzale esterno del museo: una casa costruita da Marietica Potrc con materiali di recupero; povera, sì, ma affiancata da un albero sintetico che nasconde un'antenna per la ricezione dei telefoni cellulari: ormai siamo tutti connessi! Non si tratta dell'unica opera in posizione liminare: Cesare Pietroiusti ha realizzato un'installazione sonora di carattere interstiziale basata sul fatto che, durante l'inaugurazione di «Spazio», si è autoconfinato all'interno di una scala di servizio. Da lì ha raccontato a voce ciò che vedeva, le associazioni mentali, la propria momentanea condizione di marginalità: di uno spazio la parte più interessate non è necessariamente la più centrale; vale la pena di tenerne d'occhio anche gli aspetti liminari.

Infine una sezione della mostra è dedicata all'altrove: agli infiniti possibili dello spazio interiore, a quello dell'immaginario, della scena, dell'arte; connota la sezione Le 24 Ore di Luigi Ontani: un viaggio nel mito, nella storia, nell'irreale, nell'ironia. E vi si vedono opere di Grazia Toderi e di Vedovamazzei, di Tony Oursler; chiude il percorso un teatrale ambiente di Ilya Kabakov, che ci ricorda che noi – e i nostri musei – non siamo che l'anello di congiunzione tra un prima e un dopo.

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