Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 08:06.
di Marco Merola
La vita in diretta, dalla città dei morti. Il 1º giugno Pompei riapre al pubblico due delle sue case più belle, quella dei Casti amanti e quella appartenuta al liberto Giulio Polibio. Due dimore borghesi, in cui vivevano commercianti benestanti, pistores (panettieri), che amavano attorniarsi di amici potenti e "bella gente".
Affari, accordi elettorali, beghe familiari, amori romantici tra le mura di questi palazzetti affacciati sulla centralissima via dell'Abbondanza, lo struscio obbligato dell'epoca. I Casti amanti sono raffigurati in un affresco mentre si scambiano un lungo e ingenuo bacio, insolito, si può dire, nella patria dei lupanari e delle terme suburbane istoriate con le più scabrose scene di sesso spinto che si siano mai viste. In un ambiente, enorme, troneggia un forno attorniato da macine. Era il luogo dove veniva lavorato e venduto il pane. «La domus fu investita dall'eruzione mentre erano in corso dei lavori di riparazione dei danni provocati da un disastroso terremoto avvenuto pochi giorni prima di quel fatale 24 agosto del 79 d.C. – spiega l'archeologo della Soprintendenza Antonio Varone –. Gli abitanti fecero appena in tempo a ripararsi in un vicolo, dove poi furono ritrovati».
Sopra le nostre teste freme l'attività degli operai che stanno collaudando le passerelle grazie alle quali i turisti, a gruppi di 25, potranno girare nelle stanze della domus sospesi sui reperti. Senza intralciare il lavoro dei restauratori ma godendone il risultato. Aldilà di un muro affrescato, nella stalla, due archeologhe liberano dalla terra e dai residui vulcanici un asinello e quattro muli cui duemila anni fa fu affidato il compito di far girare le macine. A un'insula di distanza la casa di Giulio Polibio, lo schiavo emancipato che fece carriera come magistrato edile coagulando il favore di politici di grido e gente comune. «Vi chiedo di votare per Giulio Polibio, che fa del buon pane», si legge su un muro. Lui, però, le mani in pasta non le metteva direttamente. Qui non ci sono forni. Era più che altro un imprenditore della panificazione.
Oggi la sua dimora è un interessante laboratorio didattico. «Al suo interno abbiamo ricostruito letti tricliniari, mobilio, tendaggi e persino una finestra con i vetri che i Romani già usavano – spiega Marcello Fiori, commissario delegato per l'emergenza dell'area archeologica di Napoli e Pompei –, oltre al bellissimo giardino dove sono state innestate le piante originali». A far da guida ai visitatori c'è Giulio Polibio in persona. Il suo ologramma salta fuori da una nuvola di fumo. Cambiando ambiente, accompagnati dagli effetti sonori studiati da Claudio Rodolfo Salerno, presidente dell'Istituto per la diffusione delle scienze naturali, compare un altro spirito. Una giovane sedicenne (la figlia?) incinta all'ottavo mese, che si strugge per aver perso la sua vita e quella del bambino a causa dell'eruzione. Da un dramma antico a uno moderno. I puristi urlano allo scempio per il restauro delle gradinate del teatro di Pompei. «Se si voleva utilizzare la struttura, come si fa già a Verona o Taormina, non si poteva fare altrimenti», aggiunge Fiori. «Ricostruire i gradini in marmo di Carrara (stesso materiale della cavea ndr) è sembrato eccessivo, perciò è stato scelto il tufo». La magia questa volta è affidata alla bacchetta del maestro Muti, che si esibirà qui il 10 giugno.