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Cultura-Domenica Teatro e danza

Scompare Kazuo Ohno, la danza come forma dell'anima

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 18:14.

«L'unico antidoto contro l'età è la dedizione assoluta all'arte: la mia vita è
interamente presa dalla danza. Ci penso notte e giorno; scrivo i miei sogni che diventano movimenti, mostro ai miei allievi le mie creazioni. E contemplo la natura: in un piccolo fiore è racchiuso l'universo», al termine del suo ultimo spettacolo italiano (in coppia con il figlio Yoshito Ohno, alla Biennale Danza di Venezia, nel 1999), così si esprimeva, il più celebre artista del movimento giapponese, il novantatreenne Kazuo Ohno, cui spettava anche l'evidente record di più longevo tra i performer internazionali. Oggi quell'autentico creatore-danzatore filosofo non è più. A 103 anni, il primo giugno, si è addormentato per sempre, nella sua casa di Yokohama, sul letto su cui giaceva ormai da tempo, ma sempre vigile e in qualche modo drammaticamente «danzante».

Maestro e fondatore, sui generis, del Butoh (o «danza delle tenebre», exploit di artisti giapponesi all'indomani del disastro atomico), guru di riferimento per generazioni e generazioni di ballerini volti a ricercare nella propria interiorità la via dell'arte, Kazuo Ohno era nato il 27 ottobre 1906 a Hakodate, sull'isola di Hokkaido, e si era accostato alla danza alla fine degli anni Venti, sotto la guida di maestri giapponesi, influenzati dall'espressionismo tedesco. In seguito, divenne ufficiale del controspionaggio giapponese in Cina; tornò al teatro negli anni Cinquanta, affiancandosi a Tatsumi Hijikata e partecipando proprio con lui alla fondazione della danza Butoh. Tra gli anni Sessanta e i Settanta si dedicò al cinema surrealista di Chiaki Nagano. Infine, all'età di settantaquattro anni, dopo essersi imbattuto in un'immagine di Antonia Mercé, detta «La Argentina», danzatrice che aveva ammirato, nel 1928, a Tokyo, si sentì autorizzato a vestirne i panni.

Danzando en travesti in Admiring la Argentina, che sarebbe diventato, nel 1977, il suo cavallo di battaglia internazionale, Ohno non riproponeva il galateo di attori nel ruolo di geisha (gli onnagata tanto cari a Mishima), piuttosto dava concretezza fisica alla filosofia della sua danza, originata a suo dire nel ventre materno («ho danzato nel liquido amniotico con gioia e con dolore: la mia nascita coincideva con l'inizio della morte di mia madre»), nutrita dall'esperienza del peccato («non vorrei dimenticare Giuda») e infine, protesa a trasformare il corpo «vissuto», ricettacolo di ricordi, in un'emittente «passiva», capace di restituire non banali emozioni soggettive, bensì snervati palpiti della natura (Ohno si è convertito al cattolicesimo: fervente cristiano di un cristianesimo però alquanto Zen).

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Tags Correlati: Antonia Mercé | Argentina | Butoh | Cultura | Giappone | Kazuo Ohno | Ministero del Tesoro | Yoshito Ohno

 

Sin dalle sue prime apparizioni in Occidente - nel 1980 al Festival di Nancy, l'anno dopo al La Ma Ma di New York -, quest'esserino di quaranta chili, un ventaglio di fittissime rughe sul volto coperto di biacca, in spiegazzati abiti femminili e cappellini decorati di fiori, artatamente kitsch nel procedere instabile del suo tango e in ogni girotondo infantile (My Mother, 1981), sconfessava la necessità di gioventù e bellezza nella danza contemporanea. E continuando a danzare, sempre più vecchio e, se possibile, sempre più tonico nell'economia di microgesti e sussulti, dimostrava come l'esperienza scenica più gravida di segni, al limite del meló, potesse trasformarsi in raffinata astrazione: un profumo di haiku.

Ohno si è ispirato a immagini occidentali e orientali: Mosè in Dead Sea (1985), le ninfe di Monet in Waterlilies (1989), i violini di Stradivari in Ka Cho Fu Getsu (1990), il demone di un'incisione del Seicento in Tendo Chido (1997). A metà degli anni Ottanta gli si è stabilmente affiancato il figlio Yoshito Ohno (nato a Tokyo nel 1938). Regista e partner dall'apollinea misura, Yoshito è oggi creatore dallo stile personale e depositario dell'eredità di un padre inguaribilmente dionisiaco. «Tesoro nazionale vivente», così in Giappone si definiscono i maestri dell'arte, Kazuo Ohno, giunto a oltrepassare i cento anni di età, non ha mai insegnato un solo passo agli allievi provenienti da tutto il mondo nel suo studio di Yokohama. «La danza è forma dell'anima, oblio della propria identità. Piuttosto che pensare», questo era l'arduo monito del centenario Ohno, «prova a lasciarti trasportare»

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