Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 15:42.
L'edizione del Napoli Teatro Festival Italia, la terza, ha molto a che fare con il tempo. Il tempo, la durata, l'attesa, la fine. Il tempo, i tempi: nel senso dei nostri tempi, della contemporaneità. Nel senso di una vetrina del teatro che sappia parlare del mondo in cui viene rappresentato. O che lo rappresenti. Ma anche, si diceva, la chiusura di una triennalità progettuale, quindi: tempo di bilanci. I recenti, dolorosi tagli alla cultura della legge finanziaria, come incidono sulla sostenibilità – se non di questa edizione del festival – delle produzioni teatrali?
Occorre mettersi insieme, battere strade indipendenti per produrre il grande teatro: l'esperienza della maratona dei "Demoni" di Dostevskij secondo Peter Stein, 12 ore di spettacolo in cartellone al festival dopo il debutto milanese, sono un esempio vincente. Uno spettacolo essenziale, scarno, d'attore e d'atmosfere, di pause e simbiosi.
Il caso speculare e inverso, la mega produzione internazionale ipertecnologica del genio canadese Robert Lépage, "Lipsynch", dimostra che la via di mezzo langue: lo spettacolo inaugurale del festival, un'altra prova di resistenza di nove ore consecutive, è una riflessione sui linguaggi, figlia dei precedenti capolavori di Lépage, soprattutto le contaminazioni teatral-cinematografiche di "Possible worlds" e "The far side of the moon".
In mezzo, tra l'attore e la tecnica, il cuore e il cervello, c'è tutto il resto, ovvero 74 spettacoli la cui parola d'ordine è la fusione dei generi. Dalla "soap opera teatrale" (la prima, dicono dal festival, ma già molti teatranti indipendenti si sono cimentati in passato nell'impresa) di Maria Cherubini, una puntata di un'ora al giorno per venti giorni, agli spettacoli sul calcio. Ci sono i mondiali in Sudafrica, i teatranti se lo ricorderanno? Haris Pasovic, dai balcani, "Football football" ce l'ha nel sangue. Tra le presenze internazionali da segnalare Matthias Langhoff con "Cabaret Hamlet" e Michel Dydim e il suo apologo storico su Alessandro Magno.
Infine, appunti sparsi di commistione: i cileni TeatroCinema, che tornano dopo il successo di "Sin sangre" con "L'uomo che dava da bere alle farfalle" e "Brat (fratello) - cantieri per un opera Rom", promettente studio dei leccesi Koreja diretto da Salvatore Tramacere.