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I film della settimana

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2010 alle ore 19:57.

Humpday - Un mercoledì da sballo
Commedia indipendente, amicizia virile, macchine digitali. Si sente profumo di Sundance lontano un miglio. E in effetti la commedia di Lynn Shelton, anche produttrice e affascinante comprimaria, sembra degna espressione di un festival che ormai è divenuto stile e, spesso, moda. E così l'originalità, spesso, è divenuta furbizia. Humpday- Un mercoledì da sballo (davvero incomprensibile il sottotitolo italiano) è proprio su quel crinale, si tiene in equilibrio precario tra la trovata geniale e la facile cialtronata.

Il cast è doc: tra tutti spicca Mark Duplass che di questo nuovo genere nato da budget bassissimi e macchine digitali è un illustre esponente anche come regista. Le facce sono quelle giuste, le battute spesso efficaci, ma l'impressione è che tutto si areni sul soggetto brillante. La storia, infatti, nasce da una bella intuizione: due grandi amici dei tempi della scuola si reincontrano dopo una vita: il primo è un easy rider fricchettone, nomade nell'anima, l'altro un casalingo con moglie e lavoro sicuro.
Complice l'alcol, decidono di fare qualcosa di folle: un film porno da portare a un festival. Qualcosa di stupefacente, due etero che fanno l'amore. Il tema dell'omosessualità irrompe nella commedia con ironia, a mettere alla prova due etero di ferro, è pretesto più che battaglia d'identità sessuale. I due protagonisti, peraltro, hanno una buona alchimia- niente male la loro esilarante scena erotica- ma l'impressione è che l'inizio spumeggiante non trovi adeguate conferme nel resto del film. E il doppiaggio italiano di Lillo e Greg, sulla carta un'ottima scelta visto il talento versatile dei due, complica le cose: troppo riconoscibili le loro voci che schiacciano i personaggi. Meglio in versione originale. Ma alla fine, comunque, si sente la mancanza di Massimo Ranieri, Renato Pozzetto ed Edwige Fenech. Perché, siamo onesti, La patata bollente è un cult che tuttoggi si mangia in un sol boccone tutti i mercoledì da sballo.

Titolo originale:Humpday; Regia: Lynn Shelton; Sceneggiatura: Lynn Shelton; Fotografia: Benjamin Kasulke; Montaggio: Nat Sanders; Scenografia: Jasminka Vukcevic; Musica: Vince Smith; Produzione: Steven Schardt, Lynn Shelton; Distribuzione: Archibald Film; Interpreti: Mark Duplass, Joshua Leonard, Alycia Delmore, Lynn Shelton, Tryna Willard; Origine: Usa; Anno: 2009; Durata: 94'.

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Diciotto anni dopo
Una splendida sorpresa. Settimana importante per il cinema italiano indipendente quella tra il 28 maggio e il 4 giugno. Se venerdì scorso sono usciti il melò Il compleanno e il noir Sono Viva, due film di genere davvero buoni, ora è il turno di un tipo di cinema che a noi non è mai riuscito granchè bene, l'on the road. Il viaggio di formazione, che sia su una Morgan e/o in un passato doloroso. Bene, 18 anni dopo è una perla che non dovete perdere. Nella testa dei due sceneggiatori e protagonisti, Edoardo Leo (anche regista al suo esordio) e Marco Bonini, nasce 10 anni fa, ma in sala arriva solo ora. Ed è un gran bel regalo: perchè ci offre un regista per caso- non voleva dirigerlo lui, all'inizio- come Edoardo Leo, che si mostra abile e agile nel racconto, e un ensemble d'attori in stato di grazia. Una doppia coppia con jolly che si alternano nella narrazione: due fratelli che non si parlano da 18 anni, ovvero dalla morte della madre fino a quella del padre, una nuora e un suocero. Da una parte Leo e Bonini sono Mirko e Genziano, gemelli, pardon fratelli diversi, dall'altra c'è la sempre ottima Sabrina Impacciatore, più (melo)drammatica del solito, e il solito monumentale Gabriele Ferzetti. I primi con una Morgan, un'autostoppista misteriosa (Eugenia Costantini) e tanti intoppi portano le ceneri del genitore sulla tomba dell'amata moglie, ritrovandosi nelle loro incomprensioni. I secondi viaggiano nel tempo, tra ricordi e foto. Profondità e leggerezza, commedia all'italiana moderna. Tutto è al posto giusto (fotografia, colonna sonora e montaggio su tutti), non c'è un minuto di noia. Chi insulta il cinema italiano dovrebbe vedere questi film. Belli e amati dal pubblico. Quello che riesce a vederli, almeno.

Regia: Edoardo Leo; Sceneggiatura: Edoardo Leo, Marco Bonini, Lucilla Schiaffino; Fotografia: Pietro Maria Tirabassi; Montaggio: Roberto Siciliano; Scenografia: Paki Meduri; Costumi: Francesca Livia Sartori; Musica: Gianluca Misiti; Produzione: I.M.S. De Angelis Group; Distribuzione: Eagle Pictures; Interpreti: Edoardo Leo, Marco Bonini, Gabriele Ferzetti, Sabrina Impacciatore, Eugenia Costantini, Vinicio Marchioni, Maximilian Mazzotta, Tommaso Olivieri, Carlotta Natoli, Pasquale Anselmo, Valerio Aprea, Luisa De Santis, Giancarlo Magalli; Origine: Italia; Anno: 2010; Durata: 100'.

Il tempo che ci rimane
Viene la pelle d'oca a guardare questo film in questi giorni. Pensare al telegiornale, alle navi, a discussioni su assalti, trappole e pacifisti arrestati. Su morti civili e non combattenti. Il sorriso è ancora più amaro del solito, mentre guardiamo Il tempo che ci rimane. Che forse non è neanche un film propriamente detto, ma la biografia di un uomo, di una famiglia e di un popolo per immagini, silenzi e intuizioni. Elia Suleiman ha un talento ironicamente visionario, ha uno sguardo malin-comico sulla sua realtà e ha deciso di mostrarci la storia del conflitto in Medio-Oriente dal suo lato, da chi si sente invaso fin nella sua casa, nel suo intimo. Lo fa con grazia e acume, mostra l'aspetto grottesco di una guerra incivile, ci offre personaggi (in alcuni casi, giura, reali!) che valgono l'intero film. Così come vale forse una cinematografia intera il suo viso, l'inquadratura che si allarga, e la visione di una sua posizione atletica, con in mano un'asta. Davanti a lui il muro costruito dall'esercito israeliano. Rincorsa e salto sono un'ovvia conseguenza: scena geniale e poetica, che riassume la forza di un film che spesso risente di una frammentazione eccessiva- più che un lungometraggio sembra un insieme di piccoli lavori- e della reiterazione che però rende alla perfezione l'alienazione storica e umana che vuole mostrare. Non un film a tesi, ma un flusso di immagini e ricordi, di visioni e gag, che meglio di tanti film realistici, sa dirci cosa sta succedendo in questi decenni al mondo. Guardando e riaprendo la sua ferita più profonda. E in una guerra assurda, solo la chiave surreale può farci capire qualcosa.

Il tempo che ci rimane
Regia: Elia Suleiman; Sceneggiatura: Elia Suleiman; Fotografia: Marc-André Batigne; Montaggio: Véronique Lange; Scenografia: Sharif Waked; Costumi: Judy Shrewsbury; Musica: Mathieu Sibony; Produzione: The Film, Nazira Films, France 3 Cinema, Artemis Films, Radio Television Belge Francophone, Bim Distribuzione, Belgacom Tv, Corniche Pictures, MBC Group, France 3, Canal +, TPS Star, Eurimages; Distribuzione: Bim distribuzione; Interpreti: Elia Suleiman, Ali Suleiman, Saleh Bakri, Avi Kleinberger, Amer Hlehel, Yasmin Haj, Samar Tanus; Origine: Gran Bretagna/Italia/Belgio/Francia; Anno: 2009; Durata: 109'.

La nostra vita
Capire l'Italia. È qualcosa che il cinema italiano non sa (più) fare. Forse perché legato prevalentemente a una cultura progressista e borghese a sua volta incatenata a una sinistra moderna sempre più lontana dalla gente. Daniele Luchetti, che è dichiaratamente di sinistra e borghese, decide con questo film di abbandonare orgogli e pregiudizi e di guardare oltre, cercando il mondo enorme formato da chi non vota, non vive, non parla, non compra come lui. E finisce in una casa sulla Bufalotta, a Roma – il film è ambientato vicino a Porte di Roma, anche se il set è stato allestito a Ponte di Nona – a raccontare una famiglia di proletari moderni. Claudio è un giovane operaio, scaltro e simpatico, Elena è sua moglie, madre dei suoi due figli e in attesa di un terzo, bellissima e dolce. Sono innamorati e anche se la vita è difficile, soprattutto nel portare avanti la scelta coraggiosa e anticonformista di una famiglia giovane e numerosa, sono felici. Una tragedia, però, è dietro l'angolo e tirerà fuori tutte le contraddizioni e le ombre di un uomo spezzato e forse sbagliato, ma estremamente vitale e vero.
Daniele Luchetti ha la forza e il coraggio di mettersi alla sua altezza, di vivere il suo cantiere e la sua casa, prima luogo di gioia e caos, poi composto mausoleo, di mostrarci un'elaborazione del lutto che diventa cinismo al fine di ignorare la perdita che il protagonista ha subito. Il tutto guardando quella realtà, senza giudicarla. E, nonostante la sceneggiatura di Rulli e Petraglia denunci più di una rigidità, soprattutto nel finale (troppo scritto e spiegato), il cineasta con la macchina da presa si incolla a Elio Germano – sempre di profilo, quasi a volerne accentuare la sua vita sempre più "cattiva" e affilata – e scende all'inferno insieme a lui. Il suo Claudio – che potrebbe e dovrebbe valere all'attore italiano la palma per il miglior attore a Cannes, Bardem permettendo – ottiene con il ricatto la possibilità di un riscatto sociale. Dal suo capo (Giorgio Colangeli, comprimario di razza come lo spacciatore-baby sitter, un irresistibile Luca Zingaretti), infatti, ottiene una palazzina in appalto. Perché, in un mondo ormai senza ideali e ideologie, è il denaro l'unico dio che può lenire ogni dolore. Un tempo si scendeva in piazza per comunicare, socializzare, vivere, persino protestare, ora si finisce nei centri commerciali, soli in mezzo alla massa, a spiare il lusso e a sentirsi un po' più ricchi. Eccola l'Italia del superfluo e delle piccole vanità, l'Italia che vive nell'illecito senza sensi di colpa e senza senso dello Stato (che non pensa minimamente a quest'Italia), l'Italia forse qualunquista e razzista per necessità e ignoranza, "l'Italia – come dice Luchetti – che ti fa venire mal di pancia tremendi e che però ti fa innamorare". Quell'Italia che viene snobbata dall'altra metà. Ma non da Luchetti che si prende il rischio di farci immedesimare in questo ragazzo, di sentirci nei suoi panni, scomodi e un po' pacchiani, di piangere e ridere con lui. Di scoprire che il valore della famiglia, che qui esce (pre)potente non è un valore di destra, ma è una risorsa per tutti. Che la solidarietà può avere mille facce, anche le meno raccomandabili. Un piccolo affresco di rara potenza, che si fonda soprattutto sulla direzione di Luchetti, che si scatena con la macchina da presa e tira fuori dagli attori risorse mai viste. E così Germano, ancora una volta diverso da sé, convince, Isabella Ragonese (bravissima nelle poche scene che ha), dalla bellezza antica ed elegante, diventa una splendida e rotonda coatta, Raoul Bova è eccezionale nella parte del fratello del protagonista, ingenuo e dolcissimo. Da vedere, per capire il diverso da sé e da noi. Per capirci e capirsi.

La nostra vita
Regia: Daniele Luchetti; Sceneggiatura: Daniele Luchetti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli; Fotografia: Claudio Collepiccolo; Montaggio: Mirco Garrone; Scenografia: Giancarlo Basili; Costumi: Maria Rita Barbera; Musica: Franco Piersanti; Produzione: Cattleya; Distribuzione: 01 Distribution; Interpreti: Elio Germano, Raoul Bova, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi, Giorgio Colangeli, Alina Berzunteanu, Marius Ignat; Origine: Italia/Francia; Anno: 2010; Durata: 95'.

Copia conforme
Abbas Kiarostami, soprattutto nell'ultimo periodo, ci fa sospettare del suo talento e dei capolavori passati. Un po' per evitare di compromettersi col regime, ma anche (e, forse, soprattutto) con l'opposizione ad esso, lavora così tanto di metafora che alla fine diventa lezioso e irritante. Copia conforme, per esempio, è una lunga dissertazione che, tra amore e cultura, ci parla del rapporto tra vero e falso, tra copia e originale. Un abile gioco – non a caso recitare si dice jouer in francese, idioma che ama, e non va dimenticato nel duello tra i protagonisti Shimell (baritono prestato al cinema) e Binoche – che viene portato avanti ben oltre il necessario. Poteva essere un'arguta riflessione per un cortometraggio, non certo per il film lungo e stiracchiato che il regista iraniano ha portato a Cannes. Un peccato, perché il cineasta che ricordavamo noi sapeva davvero vedere nell'animo degli uomini, delle cose, dei fatti per andare oltre. Qui invece questa storia d'amore – vera o falsa che sia: sono una coppia sposata o due che vivono l'avventura d'un giorno? – è solo un esercizio di stile, peraltro sottotono. Rimane solo il cammeo del coproduttore Barbagallo, come curiosità, e il monologo finale di una liquida e bella Juliette Binoche nel finale, come bel ricordo. Troppo poco.
Voto: 5

Copia conforme
Titolo originale: «Copie conforme»; Regia: Abbas Kiarostami; Sceneggiatura: Abbas Kiarostami; Fotografia: Luca Bigazzi; Montaggio: Bahman Kiarostami; Scenografia: Giancarlo Basili, Ludovica Ferrario; Produzione: MK2 Productions, BiBi Film, Abbas Kiarostami Productions; Distribuzione: Bim; Interpreti: Juliette Binoche, William Shimell, Agathe Natanson, Gianna Giachetti, Adrian Moore, Angelo Barbagallo, Filippo Trojano; Origine: Italia/Francia; Anno: 2010; Durata: 106'.

Chaotic Ana
Ecco uno di quei film fatti apposta per scatenare, alla fine della proiezione, ire ed entusiasmi contrastanti tra gli spettatori. Julio Medem decide di prendersi tutti i rischi più pericolosi: da quello di fare un melò fuori le righe fino a toccare temi soprannaturali (la reincarnazione) il tutto in un mix grottesco e sensuale sempre tra l'ispirato e il ridicolo. E questo film tocca entrambi, ad essere sinceri: presentato alla Festa del Cinema di Roma, datato 2007, sembra destinato a un incasso molto limitato ma, allo stesso tempo, a divenire un cult, anzi uno stracult di nicchia. Ana è vittima e custode delle anime di ragazze morte in circostanze misteriose, tutte a 22 anni. E lei a quel compleanno ci sta arrivando. Inevitabile che compia un'indagine su se stessa. Un'indagine assoluta e un po' assurda, ma piena di spunti simbolici, sul rapporto tra maschile e femminile, sulle ingiustizie subite dalle donne nelle varie epoche. Un film per molti versi sbagliato e fuori fuoco, ma allo stesso tempo molto interessante. Lo è in quella macchina da presa che cerca nei corpi la verità della semplicità e la forza della vita, in quella Manuela Vellés, stralunata (soprattutto nella grotta natìa) e bellissima, persino nella sempre inquietante ed elegante Charlotte Rampling. Uno di quei film che ci metti anni a capire.
Voto: 5

Chaotic Ana
Titolo originale: «Caótica Ana»; Regia: Julio Medem; Sceneggiatura: Julio Medem; Fotografia: Mario Montero; Montaggio: Julio Medem; Scenografia: Montse Sanz; Costumi: Estíbaliz Markiegi; Musica: Jocelyn Pook; Produzione: Alicia Produce, Sogecine S.A., Volcano Films; Distribuzione: One Movie; Interpreti: Manuela Vellés, Charlotte Rampling, Bebe, Asier Newman, Nicolas Cazalé, Raúl Peña, Gerrit Graham, Matthias Habich, Lluís Homar, Antonio Bellido, Leslie Charles, Sue Flack, Giacomo Gonnella; Origine: Spagna; Anno: 2007; Durata: 116'.

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